Serve più severità oppure clemenza? Il dilemma giustizia

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Ho letto con interesse quanto scritto sul nostro GdB dal signor Emilio Zanetti sui politici e corruzione e come essere garantisti. Sinceramente posso essere d’accordo su quanto scritto ma visto come funziona la giustizia in Italia, qualche dubbio mi rimane. Vorrei fare un piccolo ragionamento forse anche esagerato nell’essere garantista. Per me è comunque sempre meglio un colpevole libero che un innocente in prigione. Mi piacerebbe che la magistratura funzionasse perfettamente e che facesse le indagini necessarie e poi, se trovasse le prove della colpevolezza di una persona, allora venga denunciato e fatto il processo e quindi sicuramente questo imputato deve risultare colpevole di qualcosa e condannato in base al reato commesso. Non può esistere di iniziare un processo e poi alla fine l’indagato possa risultare non colpevole perché il fatto non sussiste! Quante persone sono in prigione solo con indizi, o quante anche solo in attesa che venga deciso se essere processate oppure no? Questo è assolutamente inaccettabile.
Felice Pelloni / Strano Paese il nostro: si consente a chi è indagato per qualsiasi motivo di replicare «mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Ma stiamo scherzando? Anziché obbligare a fornire ogni notizia riguardante ciò di cui sono accusati, gli si permette di rispondere: «Non te lo dico»? Questo vuol dire lasciare prendere per il naso gli inquirenti e permettere agli imputati di mettere i bastoni tra le ruote dei processi. Ovviamente è la legge che è sbagliata e che andrebbe abolita. Abbiamo già abbastanza delinquenti e malavitosi da mantenere: diamo loro anche i mezzi per deridere chi cerca di fare giustizia? La gente è stufa di vedere prendere in giro la legge e vorrebbe vedere un po’ più di colpevoli nelle patrie galere. Spero vivamente che chi di dovere faccia qualcosa per evitare di aiutare chi non rispetta le regole ed abrogare leggi ingiuste come questa potrebbe essere un discreto passo in avanti.
Fabio Poddine
Rezzato

Carissimi,

nulla più delle vostre lettere è distante nelle richieste quanto vicino nelle premesse. Perciò le abbiniamo. Perché chiedete cose opposte, partendo da una base comune: quella di un mondo ideale, del dover essere delle cose.

Ma la giustizia con cui abbiamo a che fare non è quella ideale, bensì quella umana e, essendo appunto umana, è altresì fallace, a volte persino stramba, incoerente. Pretendere che essa sia diversa è come piccarsi di essere perfetti noi: impossibile. Ecco perché, al più, possiamo fare di tutto per renderla corretta, equa. In una sola parola, accettabile. Più accettabile possibile.

L’abbiamo tirata lunga, per farla breve. Rispondiamo dunque a lei, Felice, dicendo che ha ragione: lasciare in carcere a lungo, spesso per una presunzione di colpevolezza, prima che essa sia provata, è una «ingiustizia», vera.

Mentre a lei, Fabio, replichiamo che la facoltà di non dir niente da parte dell’imputato e l’obbligo di non estorcere nulla, da parte del potere costituito, non è accessoria, né negoziabile: è tra i principi fondanti del nostro Stato di diritto (sappiamo che il tempo è scarso, ma se ne trovasse un poco per leggere Sciascia, ne verrebbe illuminato).

Per concludere, è una concezione di «giustizia» senz’altro imperfetta quella che tiene conto non soltanto del diritto, ma pure del rovescio, tuttavia è ciò che distingue la convivenza civile dalla forza bruta, senza scudo. (g. bar.)

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