Sant’Antonio Abate il perché della festa e delle tradizioni
A ben poche persone, oggi, Sant’Antonio Abate, monaco vissuto in Egitto circa 1700 anni fa, suscita particolari emozioni. La maggior parte di noi, credenti o meno ne ignora bellamente l’esistenza e non gli riconosce alcuna capacità di influsso sulla vita di ogni giorno. Non ne ricordiamo di certo la ricorrenza: il 17 gennaio. Ma non sempre è stato così. Attraverso quasi due millenni e fino a qualche decennio fa, questo santo, aveva esteso la sua protezione su tutte le attività di allevamento dei contadini. Fino alla metà del secolo scorso, il 17 gennaio era una giornata particolarmente importante per chi viveva in campagna e viveva di agricoltura. Praticamente tutti, ad esclusione degli abitanti delle città. Era una ricorrenza contadina molto sentita in tutto il mondo rurale, da Bari a Bergamo, da Vercelli a Udine. Era una festività riconosciuta tale anche nei contratti di lavoro. A Brescia, almeno fino a tutto il 1970, in quel giorno, nelle campagne, non si lavorava e il giorno era ugualmente pagato. Senza eccezioni, il rispetto di quel giorno festivo era totale. Ed era una strana festività: le fabbriche erano aperte, le scuole anche, eppure in campagna nessuno toccava un attrezzo agricolo. In molti comuni, ad esempio, gli impiegati comunali lavoravano, ma gli adaquaroli e gli stradini, no. Il santo del 17 gennaio era denominato, in dialetto e nella tradizione popolare, «sant’antone chisoler», per distinguerlo da quello di Padova che pure aveva parecchi estimatori e che si festeggia il 13 giugno. «Chisoeler» deriva da «chisoel» che è la ciambella tipica bresciana ed era il dolce di quel periodo dell’anno, unitamente alle frittelle di Sant’Antonio, in tutte le sue declinazioni zonali, «le frétole de sant’antone». Sopra la porta delle stalle di tutte le cascine esisteva l’effige di Sant’Antonio Abate. Egli era ritratto con tutte le specie degli animali domestici: mucche, maiali, polli e oche. Era posta all’interno della stalla, visibile solo dall’interno. A volte una semplice immagine cartacea, a volte un’edicola vera e propria, più di rado un simulacro in terracotta dipinta. Spesso c’era lo spazio per un lumino, che il 17 gennaio veniva acceso. Il 17 gennaio, chi aveva vissuto cattivi eventi l’anno precedente o semplicemente auspicava, per sé e i suoi animali da allevamento migliori annat, e chiamava il sacerdote a benedire le stalle e l’azienda agricola. Oggi, pochi segni sono rimasti di quella millenaria usanza e credenza popolare. Giusto la fiera di Lonato. In qualche famiglia, le nonne, fanno ancora le frittelle o i «Panini di S. Antonio» il 17 gennaio. Ma i nipoti spesso si chiedono il perché.
// Ludovico GuarneriGhedi
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