Sanità in crisi per mala gestione Cambiare si può

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Sono un infermiere che lavora in una nota azienda ospedaliera bresciana. Mi ritrovo a scrivervi per segnalare un episodio che mi ha coinvolto direttamente e ritengo molto grave, spia d’allarme di una mala gestione di un sistema ormai in crisi.

Vorrei iniziare contestualizzando come vengono gestite le assenze improvvise nella nostra azienda, che poi è il fulcro della questione. La prassi prevede che ogni reparto debba provvedere alla copertura di malattie/assenze ingiustificate attingendo dal personale dell’unità operativa. Quando la comunicazione dell’assenza del collega arriva in reparto è quindi il personale di servizio che dovrebbe prendere il telefono e cominciare a chiamare i colleghi che idealmente potrebbero rientrare a coprire il turno. Questo ha una diretta conseguenza sull’operato del personale indotto a trascurare le attività di reparto e la cura degli assistiti per cercare di garantire una normale copertura dei turni lavorativi.

Va specificato che i colleghi non in servizio godono dei giorni di riposo necessari a garantire il recupero psico-fisico fondamentale per svolgere una professione delicata come la nostra. Inoltre, non è trascurabile il fattore che tutti hanno il diritto di pianificare la propria vita senza l’incognita del rientrare sul luogo di lavoro.

Questo, spesso, viene vanificato dalla necessità di rientrare e «coprire» il turno scoperto.

Nel nostro nosocomio esiste un ufficio che si occupa di gestione del personale e al suo interno opera un reperibile h24 incaricato di organizzare la copertura delle Uo nelle situazioni di emergenza.

Quindi, una volta verificato che nessuno dei colleghi papabili per un rientro è disposto a saltare il riposo viene informato il reperibile, al quale solitamente, si prospettano tre possibili scenari:

1) Qualche collega a casa risponde e si rende disponibile a coprire il turno,

2) Se il numero di operatori in servizio e il carico assistenziale lo consentono si può andare in riduzione di personale (aumentando quindi le responsabilità e il carico di lavoro di chi presta servizio),

3) I colleghi dovranno concordare chi tra i presenti sul luogo di lavoro dovrà occuparsi della copertura prolungando l’orario di servizio da 8 a 12 ore (per chi copre la prima parte del turno) e fino a 16 ore per chi copre la seconda parte del turno (16 ore non consecutive, 8 di lavoro, 4 di «pausa» e altre 4 ore di lavoro).

L’episodio che mi ha coinvolto è l’ultimo descritto sopra, dove il turno da «16 ore» è stato coperto da me: dopo aver svolto il mio turno regolare dalle 14 alle 22 sono stato costretto a riprendere servizio dalle 02 alle 06 della notte seguente. Al rientro in reparto alle ore 02 ho percepito l’inadeguatezza ad essere in servizio in quel momento, non mi sentivo riposato, lucido e in grado di operare in sicurezza per me ed i miei assistiti.

Quando ciò viene raccontato a chi è esterno alla professione, l’indignazione e lo sgomento sono i sentimenti più rappresentati. Le domande più frequenti sono: «Ma come è possibile? È legale?».

Qui entra in gioco il nostro codice

deontologico, il quale recita «l’infermiere non può allontanarsi dal reparto se non è sicuro dell’arrivo di un sostituto in quanto questo comporterebbe il reato di abbandono di incapace». Questi sono i passaggi del ricatto perfetto: non puoi dire di no in nessun caso.

Alla luce di tutto ciò vorrei condividere una riflessione: lavoro in questa azienda da 4 anni e in questo tempo l’episodio in questione non è stato un evento straordinario quanto la consuetudine (è la terza volta che accade negli ultimi 6 mesi) nella gestione dell’imprevisto. Lo stato di cose denota una carenza dell’azienda a far fronte al problema in quanto non è mai stata presa in considerazione un’alternativa seria.

Alternative invece ci sono, come l’istituzione di reperibilità (è il caso dei colleghi che lavorano in sala operatoria) che garantirebbe un’equa retribuzione per il servizio offerto e un trattamento di rispetto e dignità.

Sarebbe sicuramente un buon modo per garantire i principi di sicurezza e continuità assistenziale a cui l’istituzione si rifà per imporre queste condizioni.
F.M.

Carissimo,

le lettere lunghe hanno il rischio di annoiare, tuttavia soltanto un resoconto puntuale, qual è il suo, consente a noi di comprendere appieno la portata e la gravità di un problema che incide sulla salute di chi lavora e pure di chi vive una sofferenza. Perciò lo pubblichiamo. Perché la salute è una faccenda seria. (g. bar.)

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