Quelle tacche sul metro che misura la vita

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Il 31 di questo mese di luglio compirò (è più sicuro dire dovrei compiere) 70 anni: bene! E allora? Ogni giorno dell’anno è buono per un compleanno, perché il mio dovrebbe essere diverso da altri e sbandierato hai quattro venti? Difficile da spiegare ma voglio provarci con questo aneddoto. Tanti anni fa un mio cliente, commesso da una vita in uno storico negozio di tessuti, quando andò in pensione mi regalò il metro che aveva sempre usato per misurare i tagli di stoffa. Mi disse: «tachel via ne l’osteria come me ricordo». Si tratta di un’asta di legno di rovere lunga un metro, appunto, con tacche numerate da uno a cento.Ebbene, da subito associai quell’asta alla durata della mia vita. Quando me la diede ero tra i 45/46 cm, ora ho raggiunto i 70 cm. Anche se lo stop sembra ancora lontano queste 70 tacche sono già andate e la conta a ritroso,si sa, non è consentita. Quante me ne rimangono a disposizione? Non lo so,per fortuna, e poi non sta a me decidere. Potessi, a Lui chiederei soltanto che questo percorso finale si svolgesse su di un terreno pianeggiante, di tutto riposo. Se ripenso al passato, alla mia infanzia, mi rendo conto che la vita che mia madre mi ha donato non è stata rose e fiori. Figlio di padre incerto, nato per sbaglio e capitato in una famiglia disastrata, ho iniziato a lavorare a dodici anni cercando con forza di non pensare troppo alla mia sfortuna. Oggigiorno una famiglia di separati è quasi una moda (ma sempre una tragedia per i figli, i soli non colpevoli) ma all’epoca significava essere segnati a dito, discriminati, soprattutto in un piccolo paesino dove tutti sapevano di tutti. Nonostante la sottile infima ironia che spesso intuivo in alcune persone nei miei confronti, ho anche avuto modo di capire che altri mi hanno comunque rispettato per quel bambino che ero. Sono cresciuto fermamente convinto, e lo sono tuttora, che l’uomo che mi diede il suo cognome non fosse mio padre naturale perché non provavo amore nei suoi confronti ma solo paura. Ricordo perfettamente le scenate e le botte a mia madre e, credetemi, non è un bel ricordo. Senza l’amore tra genitori la famiglia è in pericolo e nella mia regnava la miseria. Sarebbe stato quasi ovvio per me fare delle sciocchezze, essendo ancora un ragazzino, ma le esortazioni di mia madre a «rigare dritto» sono state fondamentali. Oggi a 70 anni tirando le conclusioni posso dire che mi è andata bene e c’è l’ho fatta a seguire la diritta via, sicuramente aiutato e indirizzato da qualche angelo custode. Non ho fatto grandi cose ma nonostante le premesse sono riuscito a formare una mia famiglia, i miei figli hanno avuto un padre e una madre normalissimi, e senza tanti giri di parole posso dire che sono bravi uomini, li amo e sono fiero di loro. La vita è ben strana e riserva incredibili sorprese, grandi gioie e terribili dolori, i figli diventano grandi e quasi non te ne accorgi dello scorrere del tempo, presi come siamo dalle cose di ogni giorno, poi casualmente senti una canzone e ti accorgi che 30/40/50 anni sono volati via e non c’è verso che ritornino. Settant’anni, ancora non ci credo, anche se guardandomi allo specchio me lo conferma la mia «giogaia», e non mi sento per niente più saggio, come sarebbe d’uopo. Basta, taglio, altrimenti questa riflessione rischia di trasformarsi in un epitaffio. Per adesso mi faccio gli auguri e vado avanti, poi si vedrà. Auguri anche a voi tutti.

// Lettera firmata Gentile lettore, grazie degli auguri che ricambio di cuore, a nome credo di tutti i lettori. Dopo la sua lettera c’è poco da aggiungere. Se non un invito a rileggerla rivolto a tutti perché portatrice sana di «normale» positività (e questo è già un fatto eccezionale). Quanto alle tacche, teniamole pure sott’occhio ma contiamole sempre una alla volta e una volta ogni 365 giorni: per gli altri 364 lasciamo perdere il metro, meglio dedicarsi a… vivere. (g. c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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