Quel boato violento a miglia dal Vesuvio, quasi un secolo fa

Lettere al direttore
AA
Era aprile 1944. Io, quindicenne, abitavo con i miei genitori anziani ad Avellino, in un modesto appartamento. Quella mattina non ero andato a scuola perché lievemente indisposto. Dalla finestra della mia stanza da letto vedevo il cielo molto cupo e una pioggerellina, ma senza vento. Allora, Avellino era presidiata dalle truppe canadesi che, insieme ad altri loro alleati stavano risalendo l’Italia, ormai perdente. Come comunicazione per la gente comune c’era solo la radio, quindi non sapevamo niente di quanto stesse succedendo da noi. Il colpo di grazia ce lo dette un gallo di un vicino pollaio, che fece il suo «chicchirichi», molto angosciante in quel momento (aveva scambiato il giorno per la notte). Quel giorno ci trovammo in una situazione naturale mai, ripeto mai, vista prima. In quel giorno apocalittico sembrò di essere vicini alla fine del mondo. Poi, il giorno seguente dalla radio, sapemmo che il Vesuvio, la cui bocca eruttata dista da Avellino 30 km, aveva emesso l’ultima eruzione, dopo diversi decenni dalla penultima. Ebbi allora consapevolezza che il dramma di quel fenomeno naturale lo si deve ricordare per tutta la vita, anche se dovesse durare un secolo! Ma io... sono vicino! Chiudo con il mio pensiero dell’ottimista: ancora quattro lunghissimi anni!
Giorgio Battisti
Brescia
Caro Giorgio,
un vecchio professore di teologia, materia obbligatoria alla Cattolica, ci appassionò all’esegesi, con lezioni che ricordiamo tuttora e che in questi giorni, avvicinandosi la Pasqua, sono perfettamente a tema.
Fu allora che apprendemmo il significato pieno di «agonia», utilizzato dall’evangelista Luca per spiegare la condizione di Gesù nell’orto degli Ulivi, il Getsemani, al principio della passione. Agonia, dal greco «agon», non già come lo intendiamo ora, cioè angoscia, tormentosa incertezza di chi è in procinto di perdere la vita, bensì sforzo conclusivo dell’atleta, lo sprint finale della corsa, in cui il corridore impiega ogni riserva d’energia.
La prendiamo lunga, più lunga ancora del viaggio che chissà quanti decenni fa ha fatto lei da Avellino a Brescia, per dirle ch’è vero che quattro anni sono lunghissimi, ma la sua lucidità è tale da fornire ampia garanzia che ad un secolo potrà arrivarci con sforzo agonistico, in carrozza.
Sull’episodio che invece racconta, è proprio vero che sotto il sole niente di nuovo accade. Perciò dispiace ancor più constatare che, a ottantun anni di distanza, invece di aver dato ascolto ai brontolii ammonitori del vulcano, ci si ritrovi ora a sperare che il Vesuvio erutti più in là possibile, per evitare un’immensa tragedia, spazzando via quanto vi è stato costruito sopra.
Anche in questo caso, passa il tempo, ma di ciò che conta abbiamo imparato nulla. Stia dunque sereno e ci inviti quando taglierà la torta con cento candeline. (g. bar.)
Giorgio Battisti
Brescia
Caro Giorgio,
un vecchio professore di teologia, materia obbligatoria alla Cattolica, ci appassionò all’esegesi, con lezioni che ricordiamo tuttora e che in questi giorni, avvicinandosi la Pasqua, sono perfettamente a tema.
Fu allora che apprendemmo il significato pieno di «agonia», utilizzato dall’evangelista Luca per spiegare la condizione di Gesù nell’orto degli Ulivi, il Getsemani, al principio della passione. Agonia, dal greco «agon», non già come lo intendiamo ora, cioè angoscia, tormentosa incertezza di chi è in procinto di perdere la vita, bensì sforzo conclusivo dell’atleta, lo sprint finale della corsa, in cui il corridore impiega ogni riserva d’energia.
La prendiamo lunga, più lunga ancora del viaggio che chissà quanti decenni fa ha fatto lei da Avellino a Brescia, per dirle ch’è vero che quattro anni sono lunghissimi, ma la sua lucidità è tale da fornire ampia garanzia che ad un secolo potrà arrivarci con sforzo agonistico, in carrozza.
Sull’episodio che invece racconta, è proprio vero che sotto il sole niente di nuovo accade. Perciò dispiace ancor più constatare che, a ottantun anni di distanza, invece di aver dato ascolto ai brontolii ammonitori del vulcano, ci si ritrovi ora a sperare che il Vesuvio erutti più in là possibile, per evitare un’immensa tragedia, spazzando via quanto vi è stato costruito sopra.
Anche in questo caso, passa il tempo, ma di ciò che conta abbiamo imparato nulla. Stia dunque sereno e ci inviti quando taglierà la torta con cento candeline. (g. bar.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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