Quanta rabbia nel vedere Brescia così oltraggiata

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Sono nipote (ormai con i capelli bianchi) di un partigiano insignito di croce al merito civile e l’altro mio nonno ha passato, sotto il regime fascista, quindici giorni di carcere e botte nel castello di Brescia solo per essere stato sospettato di avere avuto rapporti con i partigiani.

Le confesso, non senza un po’ di pudore, che qualche giorno fa vedere sul nostro giornale quelle svastiche tracciate sui muri di Brescia, in particolare a pochi passi dalla stele ai caduti della barbara strage fascista del 1974, mi ha fatto piangere, prima di rabbia e indignazione e poi di rammarico.

Sì, rammarico, nel non capire più, per un attimo, per cosa hanno combattuto e patito ingiustizie i miei nonni e con loro numerosissimi e coraggiosi partigiani che si sono opposti, molte volte perdendo la vita tra atroci torture e sofferenze, ad un regime brutale che negava libertà e democrazia, il cui pensiero fondante aveva come cardini l’odio dell’avversario politico, l’intolleranza verso il diverso, l’oppressione delle idee altrui, la violenza e la sopraffazione come unico modo di confronto.

Rammarico, perché la mia generazione (e forse altre dopo) non ha saputo capire che le idee aberranti di quel regime potevano nuovamente germogliare a distanza di tanti anni, non ha saputo trasmettere ai più giovani quanto male, quanta crudeltà, quanta poca considerazione dell’essere umano portassero quelle idee, quanto fosse orribile il sistema nazifascista e dove ha poi portato l’umanità. Non siamo stati capaci di entrare nelle scuole, nei luoghi di cultura e crescita giovanile e raccontare in modo efficace cosa è stato veramente il periodo fascista e le sue conseguenze sulla popolazione.

Mia madre ricorda e racconta ancora quando i fascisti del paese in cui abitavano cercavano, giorno e notte, mio nonno, facendo passare palmo a palmo tutta la casa, con minacce e pressioni a lei e a mia nonna affinché si costituisse ai repubblichini. Mio padre rammenta e racconta (con meno voglia in verità) dei giorni di carcere dell’altro nonno e delle percosse subite durante la detenzione per mano dei fascisti affinché facesse i nomi di partigiani a cui pensavano avesse fatto dei favori.

Ecco questo molto probabilmente io, e quelli della mia generazione, non abbiamo saputo fare: raccontare le cruda realtà di un mondo e di un regime che ora ai giovani è per lo più sconosciuto e di cui pure vantano le gesta e le malefatte.

Per cosa dunque hanno lottato i liberatori della nostra Italia? Per vedere di nuovo simboli e stendardi, che credevamo sepolti sotto la polvere della storia, tratteggiati sui muri delle nostre città? Per assistere, impotenti, a rinnovate manifestazioni di piazza in cui, odio razziale, intolleranza, revisionismo antistorico vanno in scena proprio come accaduto a Brescia qualche giorno fa o alla stazione di Bologna (altro simbolo delle stragi fasciste) alcuni giorni prima, da parte di individui fuori da ogni tempo e da ogni contesto di civile convivenza?

No, penso che i partigiani (e con loro tante brave persone ignote ma attive nella lotta

di liberazione) si siano ribellati perché angherie, soprusi, mancanza di libertà e democrazia non si ripetessero mai più, mai più veramente. Si sono ribellati per vedere nascere la nostra Costituzione figlia luminosa dell’antifascismo, che ancora oggi ci indica la strada maestra, la pietra miliare su cui basare la nostra convivenza e a cui ogni governo dovrebbe trarre spunto in fase legislativa.

Sulla Costituzione giurano le massime cariche dello Stato e allora da quella si deve ripartire, difendendola, amandola, accudendola come bene prezioso regalatoci da coloro che il male lo hanno visto e provato davvero.

Non deve esserci spazio per chi si pone al di fuori della Carta Costituzionale, per chi (mandanti ed esecutori) imbratta le nostre città con simboli nostalgici di valori che sono in assoluta antitesi con quelli dettati dai nostri Padri Costituenti.

Combattiamoli, isoliamoli, facciamo loro capire che sono fuori dalla storia e ancor prima dalla civiltà odierna, non con parole di circostanza e sterili prese di distanza (come ben ha sottolineato nel vostro articolo di fondo) ma con atti concreti che riportino al centro la verità su un lugubre periodo storico e riposizionino al centro del nostro dibattito politico libertà, democrazia, tolleranza, solidarietà, parole e valori non vuoti di significato per chi ha dato la vita affinché si affermassero nel nostro Paese, per chi è stato… ribelle per amore.
Massimo Mineni
Ospitaletto

Caro Massimo,

nulla nelle vicende umane è per sempre, così come la storia insegna nulla se la si lascia lettera morta. Che la Costituzione rappresenti un punto fermo, un pilastro su cui poggia l’attuale convivenza civile, non v’è dubbio. Che essa debba essere custodita, difesa e promossa, lo è altrettanto. Comprendiamo dunque il suo rammarico, mentre a parziale consolazione condividiamo l’impressione - corroborata dagli sviluppi giudiziari dei giorni recenti - che quei gesti siano frutto più dell’ignoranza che di un rigurgito di barbarie e violenza. Ciò non significa sottovalutarli, né minimizzarne la gravità (in questo senso l’editoriale pubblicato in prima pagina qualche giorno fa è d’una chiarezza adamantina), bensì distinguersi abbinando rigore e pacatezza. Per non tramutare quello sfregio in esca, alimentando una tensione nella quale chi è mite si trova a disagio, mentre l’estremista sguazza. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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