Pronto soccorso pediatrico. Quante carenze

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Scrivo con profonda indignazione e preoccupazione per denunciare l’inadeguatezza del Pronto soccorso pediatrico dell’Ospedale Civile di Brescia, una struttura che dovrebbe essere un punto di riferimento per la tutela dei più piccoli e invece si rivela un luogo inospitale, disumanizzante e potenzialmente pericoloso. Sono entrata in quella sala d’attesa con mio figlio ieri sera e ne sono uscita ore dopo, senza aver nemmeno visto un medico, scegliendo consapevolmente di portarlo a casa e sorvegliarlo da sola, in attesa dell’apertura della sua pediatra. Un paradosso: mi sono sentita più sicura a casa che in ospedale. E non ero l’unica. Ho visto genitori - con in braccio neonati di pochi giorni - arrendersi, andarsene senza diagnosi, sconfitti da un sistema che dovrebbe proteggerli. La sala d’attesa era un girone dantesco: sovraffollata, caldissima, senza servizi base (acqua, cibo, giochi, sedie comode), con bambini e ragazzi di ogni età ammassati insieme - neonati, lattanti, adolescenti feriti sul campo da calcetto, tutti trattati allo stesso modo, come numeri in una fila. Nessuna attenzione alla specificità dell’età, nessuna umanità. Uno schermo acceso - come se la Tv fosse una risposta sufficiente alla paura, alla stanchezza, al dolore dei bambini - quando sappiamo benissimo che l’esposizione agli schermi è sconsigliata nei più piccoli. E poi l’esposizione ai codici rossi: ambulanze, scene d’emergenza che si svolgono sotto gli occhi dei bambini in attesa, senza mediazione, né protezione. Siete sicuri che questo non lasci traumi? Il personale era visibilmente esausto, spesso freddo, in alcuni casi apertamente infastidito. Ma io non li incolpo. Se l’ambiente è invivibile per chi aspetta, figuriamoci per chi ci lavora. Il punto è: chi gestisce questa struttura lo sa? Lo ha visto con i propri occhi? Ci lascerebbe un proprio nipote in quelle condizioni? Perché, diciamolo con chiarezza: chi ha le conoscenze giuste, le possibilità economiche, le relazioni personali, forse in quel Pronto soccorso non ci entra neanche. Oppure, se ci entra, passa dritto, senza fare fila. Ma noi? I genitori comuni? Per noi non resta che l’attesa e l’abbandono. Viviamo in un Paese che impone regole rigidissime a nidi e scuole per garantire sicurezza e benessere ai bambini. E poi li lascia in balia del caos, soli e impauriti, proprio quando avrebbero più bisogno di cura e accoglienza. Mi rivolgo a voi, ai lettori, ma soprattutto a chi ha potere di decisione: volete davvero essere ricordati come chi ha permesso tutto questo, come chi ha voltato le spalle ai più fragili? Perché un Pronto soccorso pediatrico che non rispetta l’infanzia non è solo una carenza tecnica: è una scelta politica, culturale e morale. Aspetto risposte. E cambiamenti. Perché i bambini non possono - e non devono - aspettare, si tratta di un loro diritto.

Anna Laperre

Cara Anna, sono parole forti le sue, ma proprio per questo meritano ancora più attenzione, rispetto. Perciò ci mettiamo in attesa, al suo fianco. Anche perché una risposta non spetta a noi, bensì a coloro che hanno la responsabilità del servizio. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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