Orgoglioso e pieno d’Amore: io, medico bistrattato delle Rsa

Dove lavori? Sono un medico di Rsa ed ecco uno sguardo imbarazzato, come per dire non hai trovato di meglio... Io invece l’ ho scelto ed è il più bel lavoro del mondo. Cosa fa un medico in Residenza sanitaria assistenziale (Rsa). Sostanzialmente il tuttologo, prima di tutto il medico di famiglia di circa 80 ospiti che conosce alla perfezione perché li vede ogni giorno e conosce tutta la storia di ognuno: come risponde ad una terapia o cosa non tollera, poi il dermatologo, dentista, gastroenterologo, cardiologo, ortopedico e di notte emergenza urgenza, perché mandare un grande anziano in ospedale è difficile sia per l’anziano sia per la famiglia che poi lo deve seguire in ospedale sia per l’ospedale che spesso lo considera un «abusivo» nei posti letto di «chi ha più bisogno». Ma per noi medici, i nostri ospiti sono coloro che per fragilità hanno più bisogno di tutti, non sono vecchi: sono i nostri vecchi, papà, mamme, nonni di qualcuno da curare e tutelare. Noi medici di Rsa siamo anche psicologi perché quando ti fai carico di un anziano, ti fai carico anche della sua famiglia con il senso di abbandono, con i sensi di colpa di chi non per cattiveria, ma per necessità decide di istituzionalizzare il proprio genitore, e allora accettiamo offese ed accuse nell’ottica di prendersi carico del dolore della famiglia... e questo a volte porta ad una riconciliazione finale al momento del distacco che si scioglie in lacrime condivise con i familiari e ringraziamenti sinceri. Eppure per gli altri cosa siamo? Nella migliore delle ipotesi inutili, nella peggiore carnefici. Per le istruzioni manco esistiamo, si sono accorti di noi dopo due mesi dall’inizio della epidemia, nemmeno le mascherine chirurgiche ci hanno dato e i nostri ospiti sono stati curati con Amore contro un nemico invisibile, con ciò che avevamo «rubando» le indicazioni date ai medici di base perché prima dei morti noi non esistevamo. Gli ospiti sono stati mantenuti puliti, hanno fatto le loro attività con modalità più consone e abbiamo tentato di dare un minimo di normalità, di tutelarli anche quando operatori, infermieri, medici venivano colpiti dal virus. Ci siamo sforzati perché la loro vita andasse avanti nel modo più normale possibile. Bene, noi lavoriamo nell’ombra come sempre, non guadagniamo ciò che guadagnano i medici di base o gli ospedalieri, le strutture non ci assumono perché «non conviene», non ci sono corsi di aggiornamento specifici per noi, andiamo dove ci serve da abusivi, ma siamo più ricchi di tutti loro perché quando stringi la mano ad un tuo anziano e lui ti dice non lasciarmi perché con te non ho paura, io mi sento ricco, mi sento orgoglioso e pieno d’Amore. Beh ed è per questo che tanti anni fa ho fatto un giuramento.
// Un medico di Rsa Gentile dottore, l’altro giorno è stata un’operatrice sanitaria a rivendicare la sua scelta di fare 100 chilometri al giorno pur di lavorare in una casa di riposo, e proprio nel giorno in cui trapela la notizia della morte di un’operatrice di una Rsa bresciana, è un medico a manifestare il suo orgoglio per il lavoro con gli anziani. Nel contesto dell’immane tragedia che nelle Rsa lombarde si è consumata (e di cui parliamo anche oggi a pagina 9), sono segni che vogliamo registrare perché ci ricordano che in queste strutture c’è, diffuso, un capitale di umanità e di amore verso i nostri nonni ospiti, su cui contare. Umanità e amore che non tutte le famiglie d’origine offrono. Le inchieste si incaricheranno di stabilire le responsabilità di quanto accaduto, ma istituzioni e comunità dovranno valorizzare questo «patrimonio» con maggior attenzione, per scongiurare che in futuro si ripetano tragedie come quella degli ultimi mesi. (g.c.)Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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