Noi ragazzi sensibili chiediamo aiuto Dovete ascoltarci

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Ragazzo di quindici anni vittima di bullismo si spara a Senigallia, padri uccidono la famiglia, fidanzati uccidono le fidanzate, madri uccidono i figli. Sembrerebbe una serie tv, ma è l’Italia. Mentre scrivo, ormai da anni fuori dal sistema scolastico italiano, ascolto vari dibattiti alla televisione in cui si discutono i motivi della morte di Leonardo, che si è sparato a 15 anni con la pistola del padre.

Un adolescente non dovrebbe neanche pensare al suicidio, perché non dovrebbe essere una realtà contemplata da una persona che ha appena smesso di essere un bambino. Queste cose non dovrebbero mai succedere; e invece succedono, succedono perché non si sta parlando di personalità e sensibilità estreme ma di un problema che in Italia è ignorato: l’empatia, l’intelligenza emotiva, la psicologia. Cose che non appartengono al nostro Paese e soprattutto non appartengono al nostro sistema scolastico. Il nostro sistema scolastico, che fallisce e sta fallendo da anni, non solo per quanto riguarda l’educazione ma per quanto riguarda la crescita e la mancata premura per bambini, preadolescenti, e adolescenti che non sono tutti uguali. No, cari presidi e professoresse e professori, solo perché voi nella vostra gioventù non avete fatto fatica a superare un certo ostacolo, solo perché altri vostri studenti non hanno fatto fatica, non vuol dire che sia facile per tutti.

Non sto parlando da persona che ha letto qualche libro o che ha sentito dire. No. Sto parlando da persona che ha subì

to bullismo psicologico e ha avuto problemi legati a questo per la maggior parte dell’esperienza nella scuola dell’obbligo italiana, che per riprendere la propria persona, i propri interessi e la propria passione per l’imparare si è iscritta ad una scuola all’estero.

Punto il dito contro i professori che non solo hanno ignorato il comportamento prepotente e arrogante dei propri studenti nei confronti di quelli che sono «più sensibili», ma che hanno anche incoraggiato e preso parte a questo comportamento. Perché io non sono Leonardo, non ho compiuto un gesto estremo, ma non posso negare di averlo considerato. E come me, tante altre persone. E non si tratta solo del bullismo stereotipato, quello che si vede nei film. Sono i professori che urlano verso gli studenti «diversi» nei corridoi, ragazzi di 12 o 13 anni che davanti ai professori delle medie ti chiamano sfigata perché hai interessi diversi, professori al liceo che ti chiamano stupida davanti a tutti. Professori che, quando due compagne, una magra e una «non magra», chiedono di andare al bar della scuola a prendere una brioche, lasciano andare solo quella magra dicendo chiaramente «lei può andare perché guarda com’è magra». Professori e di conseguenza studenti, perché ricordiamoci tutti che chi è un adulto con potere nel contesto della classe e che dovrebbe dare il buon esempio è il professore, che trattano i voti delle verifiche o interrogazioni come sentenze per gli studenti. Studenti che magari non capiscono bene una materia ma potrebbero eccellere in un’altra se solo venisse data loro la possibil

ità.

La scuola non cambia, cambiano però i ragazzi che la frequentano. Il mondo è cambiato e sono cambiati anche i nostri bisogni, non siamo una generazione debole, siamo una generazione che viene buttata in mezzo all’orrore che è il mondo di oggi, prima ancora di poter sviluppare e apprendere gli strumenti per capirlo e viverlo. E sì, i social ne sono parzialmente colpevoli. Come lo sono i film, i videogiochi e qualsiasi influenza esterna. Ma non fatevi confondere dalle molteplici influenze invece che dalla vera causa del problema. Non si può ignorare un grido di aiuto per quanto debole possa essere.
Francesca Chiari

Ca

ra Francesca,

nell’immensa ruota chiamata vita, nulla di nuovo c’è sotto il sole, eppure a ogni giro si scopre qualcosa. Un paradosso soltanto apparente, chiaro per chi giunge a fine corsa, mentre coloro che cominciano la salita o si trovano a mezza via fanno più fatica a trovare il bandolo della matassa, a patto che un bandolo esista. Questo per dire che a fronte di parole quali le sue non esistono risposte e serve soltanto mettersi in ascolto, che ci sono grida di aiuto tanto deboli da nascondersi persino al riparo dell’invettiva.

Ci spiace moltissimo per la sua esperienza, per come l’istituzione scuola non l’abbia aiutata. Quel dito puntato contro alcuni professori lo sentiamo anche tra le costole nostre, di adulti, consapevoli che nell’età di mezzo gli ostacoli ci sono e che superarli è sempre una sfida, dunque è normale si possa sbattere il muso contro difficoltà, frustrazione, indifferenza. La nostra condizione di esseri umani tuttavia imporrebbe attenzione nei confronti di tutti, per non lasciare indietro nessuno, così che non ci siano mai colpi di pistola, al più lettere liberatorie e un luogo dove poterle recapitare, certi che la propria sensibilità sia condivisa. (g. bar.

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Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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