Nel sole e nel vento: quelle serate con Lucio Battisti
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Era l’estate del 1973, abitavo ancora in Francia e proprio quell’anno mi recai in vacanza, in Italia, presso cugini che avevano qualche anno più di me. La sera, seduti tutti insieme, ascoltavamo canzoni, per ore e ore, scambiandoci pareri e interpretazioni.Io, parlavo volentieri dei cantanti francesi, in particolare di Jacques Brel, il mio preferito, loro, di De Gregori, dei New Trolls o di De André. Un punto ci accomunava, al di là della differenza linguistica e di età, ed erano i Beatles, i Pink Floyd, la grande musica pop e rock inglese. Poi in un pomeriggio, colmo di sole e di allegria, la radio diffuse una voce diversa da tutte le altre, quasi scordata ma di grande dolcezza e profondità, che offriva parole sussurate e un linguaggio quotidiano legato a «emozioni» che conoscevo. Quella strana voce, mai udita finora, mutava facilmente d’intensità e accompagnata da semplici accordi di chitarra, parlava del «sole che trafigge solai» con interrogazioni struggenti, che mi lasciarono un’impressione confusa. Non sapevo se quella canzone mi fosse piaciuta o no ma ne percepii la singolarità, inconsciamente. Nei bagagli del ritorno, trovai in regalo una cassetta di Lucio Battisti, con la raccomandazione di ascoltarla con attenzione e così avvenne. Diventò presto la colonna sonora che mi accompagnò per tutti gli anni del liceo, chiusa sola in camera a cullare «dolcissime malinconie» o in compagnia, tra le nebbie serali e le lunghe giornate d’inverno, fra le primavere che tornavano a commuovermi, al punto di volere ritornare in patria e cambiare il mio destino. Misi poi il volto di quel cantante sorridente, dai lineamenti delicati e dai riccioli inconfondibili perfino tra i libri d’università. Di quell’artista-uomo amavo soprattutto l’individualismo riservato e l’immenso senso di libertà che gli permettevano di sfuggire a qualsiasi etichetta o schema ideologico. Mi stupiva quando parlava di donne con le quali poteva essere amico o uomo dominatore. Innalzava decori campestri con «fiumi azzurri e colline e praterie», rincorrendo perfino libellule o periferie di città con supermarket, macchine, pompe di benzina e cartelli «vendesi». A udirlo parlare d’amore mi convinsi che prima o poi sarebbe arrivato, anche per me, il giorno che avrebbe fatto «nascere una rosa rossa» e reso «l’esistenza» leggera come «un volo». Accade che uno sguardo celeste mi conquistò, giorno dopo giorno, parlando prima del più e del meno, poi per «questione di cellule» di filosofia. Sotto forma di diatribe e mutue provocazioni intellettuali e senza accorgermi, in quel lento procedere, mi ritrovai di fronte al dilemma di «un vorrei, non vorrei ma se vuoi» fino ad arrivare a quella sera in cui quegli occhi smisero di essere distanti e mi rivolsero una domanda prosaica: «Quali sono le due cose che ti piacciono di più?». Abbandonando il sottile gioco del corteggiamento e gli ostacoli del pudore, risposi: «la polenta e Lucio Battisti». La rapidità della mia affermazione mi turbò al punto di temere una caduta di stile ma fui felice di udire subito un semplice e ridente «anch’io» che, dopo tanti anni, «nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto», ricalcando una formula rituale, sigilla ancora quel mistero rinchiuso nell’indimenticabile «io e te, perché io e te, forse qualcuno ha scelto per noi» e dirsi poi che tutto il resto «lo scopriremo solo vivendo».
Giulia Deon Lonato del Garda
Giulia Deon Lonato del Garda
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