Ma dov'è finita la vecchia locomotiva?
Quando dal mio paese, che è Botticino, vado in città, mi piace farlo in bicicletta, e al ritorno, allo scopo di evitare un po' il traffico della strada provinciale, ad un certo punto giro per una stradina a destra e mi trovo dietro un supermercato. In quei pressi giaceva fino a poco tempo fa una locomotiva a vapore; ora che non la vedo più mi piacerebbe sapere dove è stata collocata e il mio interessamento è tale che mi piace ripercorrere la sua storia. La locomotiva in questione è il nono dei 370 esemplari del modello 835 e quindi è numerata 835.009. Essa fu costruita nel 1906 dalla Breda ed entrò in servizio nello stesso anno, dopo esser stata acquistata dalle Ferrovie dello Stato. Viaggiò per l'Italia fino alla fine degli anni '70, fotografata in manovra a Torino nel 1961 e a Vicenza nel 1976. Nel 1993 la vaporiera si trovava al deposito della stazione ferroviaria di Verona e, grazie all'interessamento del prof. Antonio Massarelli, venne richiesta dal Comune di Botticino per usi museali, in quanto simile alla famosa Piögia che per trent'anni - dal 1929 al 1958 - è servita per il trasporto dei blocchi di marmo e del pietrame dal piano caricatore di Botticino al cantiere della Ditta Lombardi a Rezzato. Nel 1994 il Comune di Botticino acquistò la locomotiva al prezzo di 7.700.000 lire - IVA compresa - (pari a 3.976,70 euro) dalle Ferrovie dello Stato e la lasciò depositata sul posto per oltre 10 anni, finché a fine 2004 decise di farla trasportare da Verona a Botticino dalla Ditta Noventa Trasporti al costo di 4.080 euro. Il mezzo però non arrivò mai a Botticino, ma si fermò nell'area di proprietà del trasportatore, all'aperto, senza nessuna protezione dagli eventi atmosferici, dietro naturalmente pagamento del canone di deposito. Sta di fatto che dal 2004 al 2005 il Comune di Botticino ha pagato come canone l'importo di 1.980 euro, mentre per gli anni successivi fino al gennaio 2011 ha sborsato annualmente 2.160 euro, per la cifra che in questi ultimi sei anni ammonta a 12.780 euro. Ma c'è di più; mentre la vaporiera è desaparecida, una locomotiva ad accumulatori, la Gilda che un tempo sostituiva la Piögia, quando questa era in riparazione, giace senza alcuna protezione dalla pioggia, nell'area cosiddetta museale di via del Marmo. Essa è in compagnia di un vagone e di un carro bestiame, oltre a grandi attrezzature di cava, in quanto i piccoli attrezzi sono stati trafugati nel 2003. Con loro ci sono i 52 blocchi che costituivano il monumento funerario trovato durante gli scavi effettuati nel 2002 a Brescia, in via Cremona; essi sono ancora lì in attesa di essere ricomposti. Quanto alle traverse dei binari, più della metà sono sparite. Si evidenzia che, di fronte a tale sbando, l'Amministrazione comunale di Botticino lo scorso anno è riuscita nell'intento di allestire due mostre nel Museo del Marmo, impoverendolo, cioè togliendo tutte le fotografie d'epoca dei gruppi di ex cavatori, oltre alle bellissime immagini dell'archivio Negri e ai pannelli illustrativi e descrittivi della Provincia, e i circa 400 campioni di marmo fino ad allora esposti. Tutto ciò a costi non indifferenti, a riprova del fatto che disfare tante volte costa più del fare. Intanto, nell'attesa di grandi eventi, il museo dall'ottobre scorso è chiuso per ristrutturazione. È facilmente intuibile il danno causato da improvvidi amministratori e curatori che del mondo delle cave ne capiscono ben poco. Certo che, se questo è il modo con cui l'Amministrazione comunale di Botticino intende celebrare il 100° anniversario dell'inaugurazione dell'altare della Patria, realizzato per la maggior parte con il marmo di Botticino, forse c'è qualche cosa che non va. Da parte mia, da appassionato delle cave - essendo nato all'ombra di un piano caricatore ed avendo sentito, seppure per pochi anni, lo sbuffare della Piögia quando ci si divertiva e mettere dei sassi sui binari all'imminente suo passaggio, tanto «per vedere l'effetto che fa» - mi sono dedicato a raccogliere testimonianze, documenti e giornali dell'epoca e ho curato e fatto stampare, in fotocopie, un fascicolo che ha per titolo «Il Vittoriano, il Botticino ed il Mazzano». L'ho fatto non soltanto per ricordare tutti i miei parenti che hanno lavorato alle cave, ma anche perché questo grandioso monumento, oltre a rappresentare le eroiche gesta che fondarono il nuovo Stato, costituì, nella sua costruzione, per circa trent'anni, pane e vita per intere comunità, condite di fatica e sudore, lotte e indignazione, sacrifici e rassegnazione, passione e dignità, lacrime e sangue.
Giovanni Forti
Botticino
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