L’uomo Gesù che non cede al rancore
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È sempre emozionante seguire il Vangelo della Passione e morte di Gesù la Domenica delle Palme. La lettura del Vangelo secondo Matteo, fatta a più voci (Gesù, narratore e personaggi) dà un tono molto coinvolgente e sembra di assistere «dal vivo» agli eventi, quasi si stesse guardando un film, ed è impossibile restare indifferenti; Gesù è sempre «figlio di Dio» ma appare anche Lui «in crisi», molto più vicino alla condizione di uomo «normale» quando chiede a Dio di «allontanargli - se può - questo calice», così come ci appare molto umano Pietro che prima afferma con una certezza granitica che non tradirà mai Gesù e poi è pronto a giurare e spergiurare di non averlo mai conosciuto... Anch’io, che non mi reputo cristiano praticante, quando ascolto questo brano del Vangelo, così intenso, così profondo non posso non commuovermi, non pensare a quanto dolore abbia sofferto quell’Uomo (fisico e morale: prima un Cristo cercato, osannato da molti, poi abbandonato da tutti) e al Mistero che racchiude la Passione, la Morte e (per fortuna) la Resurrezione: probabilmente noi uomini «normali» non lo capiremo mai, non capiremo mai razionalmente come possa un Uomo sacrificarsi tanto per l’intera umanità, come ci insegnano i Vangeli... Per noi sarebbe logico ribellarsi ed usare le «maniere forti» a chi ci attacca: magari capiamo il rischio che «chi di spada ferisce di spada perisce», come ammonisce Gesù a chi vuol difenderlo, ma ciò non ci impedisce di rispondere all’offesa con la violenza: tutto per noi logico, naturale, altro che «porgere l’altra guancia». Certamente il mio è un ragionamento umano, molto poco cristiano praticante, ma pur essendo agnostico sono affascinato da questo passo del Vangelo e da tutto ciò che racconta: nella nostra mente è impossibile sacrificarsi così tanto per gli altri: una manifestazione di potenza di Dio avrebbe convinto - allora come oggi - molte più persone, ma io (noi) usiamo una logica umana, terrena, ed il Regno di Dio non è di questo mondo…. Di fronte a questa lettura così intensa, tragica e bella mi vengono in mente le parole di una canzone di De Andrè, dal Testamento di Tito: «... io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore». Claudio Mor Rovato
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