Lo zoo di Brescia e la sensibilità che sta cambiando
Lettere al direttore
AA
Il documentario «Brescia selvaggia» sullo zoo cittadino si rivela una riuscita testimonianza storica dell’uso del maniero e una bella narrazione per immagini di una Brescia che, come evidenziato dallo stesso regista, con la chiusura del serraglio ha voluto dare avvio ad una riflessione sul rapporto che la nostra specie intrattiene con gli altri animali.
La società civile, scientifica e filosofica non è mai stata unanime sulla liceità dei serragli settecenteschi, figli delle camere delle meraviglie rinascimentali, destinati a soddisfare a pagamento le morbose curiosità del popolo, esibendo anche esseri umani schiavizzati o dal corpo deformato.
Le critiche a tali strutture, così come l’esecrazione al massacro delle fiere di età imperiale da parte di filosofi classici, hanno da sempre diviso l’opinione pubblica e i settori colti della società, continuando ad implementare di riflessioni a riguardo intere biblioteche.
L’opposizione alla cattività degli animali nella fortezza cittadina fu portata avanti nelle strade e nei luoghi del potere bresciano da avanguardie partitiche e dall’associazionismo ecologista e animalista dell’epoca (WWF, Noi per loro, LAC). Se l’ostilità era motivata in primis dal contesto e dagli spazi di contenzione predisposti sul Cidneo, completamente avulsi dalle esigenze ecoetologiche delle specie detenute, era ormai diffusa la maturata contezza che l’umano non ha giustificazioni sufficienti per privare della libertà altre specie animali, avulse dal nostro patto sociale, o per negargli dignità.
Questa persuasione è andata consolidandosi e diffondendosi globalmente, fin da quando le teorie evoluzionistiche prima e gli studi etologici poi hanno dato fondamento scientifico a più antiche teorie filosofiche, riconoscendo in ogni animale un individuo senziente, rifiutando l’assunto cartesiano dell’animale macchina quale mero strumento d’uso e piacere. Scardinando convinzioni antropocentriche che divinizzano l’umano, il quale assume la diversità come inferiorità, l’etologia ha messo in luce i bisogni relazionali, le emozioni, le modalità di apprendimento delle altre specie, senza limitarsi a quelle filogeneticamente più vicine all'uomo riscattate dalle recenti installazioni di Davide Rivalta, appositamente poste in Castello in libertà.
Se l'esposizione di animali vivi, esotici e non, poteva forse avanzare un senso in epoche remote, oggi l'alfabetizzazione di massa, sebbene scientificamente ancora molto carente, e la possibilità di viaggiare anche virtualmente, hanno tolto ai serragli ogni ragione d'essere, sino a ritenerli pedagogicamente diseducativi laddove l’osservatore apprenderebbe la liceità ad assoggettare anche solo per scopi superflui un individuo più debole, favorendo il consolidarsi dello stereotipo dell'animale stupido e dal solo valore d’uso.
La funzione degli zoo oggi va peraltro distinta fra le strutture ancora destinate al mero scopo di lucro da quelle di ineluttabile luogo di ricovero per animali posti sotto sequestro, di banca genetica di specie a rischio di (antropogenica) estinzione
o di luogo dove osservare comportamenti difficilmente visibili in natura.
Il documentario di Matteo Berta, che attiene ad un territorio che ha da sempre conflitto più che convissuto con gli altri animali, può ausiliare la riflessione che ad oggi non si è conclusa ma ha invece allargato il perimetro della speculazione dalle specie totemiche a quelle artefatte e avviate a destini feroci per soddisfare le avidità del mercato del cibo in un mondo sovralimentato.
Christiana Soccini
Docente e ricercatrice faunista
Cara Christiana,
sarà contento Matteo Berta, che conosciamo e ha realizzato un documentario utile, oltre che bello (che poi, come insegnano i greci, «bello» e «utile» vanno spesso a braccetto).
Per quanto ci riguarda, lo ammettiamo, abbiamo dovuto leggere il suo scritto non una, né due, bensì tre volte, per distillare dalla prosa ricercata il senso limpido. Lo riveliamo sorridendo: ci ha ricordato la rubrica del settimanale satirico «Cuore», in cui si riportavano i discorsi dell’allora segretario della Dc, Ciriaco De Mita, con traduzione stringata e semplificata accanto. Se dovessimo fare lo stesso, scriveremmo: 1) una volta c’erano gli zoo di città, con gli animali in gabbia; 2) la sensibilità è cambiata; 3) non è improbabile che in futuro i nostri pronipoti proveranno per i reparti «carne» dei supermercati lo stesso straniamento che proviamo noi per lo zoo di Brescia adesso.
Abbiamo capito giusto? (g. bar.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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