L’imbarazzo di essere definito «bresciano»

Nel segnalarLe le recriminazioni del signor Stefano Cassetti in merito all’articolo pubblicato sul «Giornale di Brescia» lo scorso 14 maggio, non posso esimermi dallo spendere considerazioni in merito all’utilizzo, a volte improprio, del linguaggio giornalistico. Del giornalismo - in modo particolare di quello «dell’informazione» - è facile parlare male» vuoi per la sua propensione a farsi longa manus del potere politico od economico, vuoi per l’irresistibile tentazione di divenire protagonista dell’informazione, anziché veicolo della stessa, relegando i lettori a platea muta, a discapito, a volte, dell’integrità e della verità dei fatti riportati. Rappresentati i difetti, veniamo ora ai pregi. Proprio al giornalismo, portavoce della società in trasformazione, si deve il cambiamento linguistico che ha interessato il nostro Paese negli ultimi decenni. La contaminazione tra linguaggio parlato e scritto ha di fatto segnato l’abbandono a quello stile aulico, appannaggio di un’élite anacronistica che ha fatto dell’informazione un bene comune alla portata di tutti. E se oggi si tributa al linguaggio dell’informazione la nascita di neoligismi, la diffusione di metonimie, deverbalizzazioni, la proliferazione di sigle, acronimie, prefissazioni e suffissazioni, vale la pena ricordare che tutte le espressioni scritte non sono completamente disancorate alle regole, ma «sono uguali di fronte alla Legge grammaticale». Se dunque ci si imbatte nel seguente titolo virgolettato «Io, bresciano, sul set divento dirottatore a fin di bene» è legittimo ritenere che la paternità dell’espressione vada riferita al soggetto citato nel sommario ossia al signor Cassetti. Le virgolette basse vengono infatti utilizzate per segnalare l’utilizzo del discorso diretto o quello di citazioni. Peraltro, il mio assistito, come dallo stesso ribadito nel carteggio intercorso con il signor Paolo Fossati, mai ebbe a pronunciare quella frase, rivendicando, al contrario, la sua cittadinanza europea. Liquidare la vicenda, come avvenuto, sostenendo - e il virgolettato è d’obbligo - che «i virgolettati nei titoli sono sempre più frequenti e - soprattutto oggi che la comunicazione è inflazionata dai social hanno lo scopo di rendere subito evidente che si tratta di un’intervista e, dunque, di un contenuto originale, non risultante dalla rimasticatura di cartelle stampa o altro» e che «i lettori, che questa modalità conoscono, sono ormai consapevoli del fatto che queste frasi riflettono una verità, ma non sono la trasposizione di frasi pronunciate alla lettera (cosa che, del resto, sarebbe impossibile, anche solo banalmente per ragioni grafiche; a meno di non pensare che gli interlocutori si esprimano per slogan...)», non fa che gettare ombre sull’utilizzo a volte improprio del linguaggio giornalistico che, anzinché rappresentare la notizia, preferisce dar voce all’interpretazione della stessa fattane dall’autore. Perché di questo si tratta. Il campanilismo che emerge dal titolo è sentimento estraneo all’intervistato, ma proprio del caposervizio Cultura e Spettacoli, evidentemente convinto che «la provincia non sia un recinto che impedisce di uscire e farcela». Allora perché non farlo apertamente senza attribuire al mio cliente espressioni e pensieri mai formulati? Sia ben chiaro, il signor Cassetti è bresciano - circostanza questa sufficiente a giustificare l’interesse del quotidiano locale alla pubblicazione della notizia che lo vede protagonista della nuova serie televisiva in onda su Netflix-, ma si sente principalmente cittadino d’Europa. Lungi dal rinnegare le proprie origini, si presenta e vuole essere presentato come tale. Come qualificare dunque quanto accaduto? Chiamiamolo equivoco innescato da «licenza giornalistica», chiamiamolo «esercizio di stile» alla Queneau, ciò non toglie che una rettifica, forse inutile ai followers dei socials, ma apprezzata dai più, potrebbe certamente tacitare il mio cliente che vedrebbe ricostituita l’integrità dell’intervista resa, magistralmente riassunta dal signor Paolo Fossati.
// Avv. Mariapaola Cereda Gentile avvocato, prendiamo atto che per il signor Stefano Cassetti, nato a Brescia il 4 settembre 1974, l’essere definito «bresciano» è ragione di imbarazzo. Quasi che i bresciani non fossero cittadini d’Europa come lui o, aggiungiamo noi, del mondo. (n.v.)Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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