L'ex gen. Delfino «sfrontato e fastidioso»
Leggo dell'ampia intervista all'ex generale Delfino sul numero del 4 maggio del suo giornale in esito alla nota sentenza di appello sulla Strage e credo sia opportuno puntualizzare un paio di cose. Posso capire che l'ex gallonato, costretto alla forzata pensione a cagione dell'infortunio «Soffiantini», che bene ebbe a definire lo spessore morale dell'ufficiale, scampato il pericolo di una condanna all'ergastolo (che invero non avrebbe meritato, secondo il mio pensiero), tenti di riproporre la bontà del suo operato in occasione della prima inchiesta sull'eccidio bresciano, nonostante le plurime bocciature giudiziali; anche se, dal ruolo che ebbe a ricoprire, sarebbe stato più opportuno che la faccia la mettesse al dibattimento e non in conferenza stampa successiva, circondato dai suoi legali. In ogni caso, un poco più di prudenza e un poco meno di sfrontatezza, non sarebbero guastate: soprattutto a chi è laureato in giurisprudenza non è consentito contraddire la cosa giudicata e indicare quali colpevoli dell'eccidio soggetti, come Angelino Papa, assolto in forma definitiva; dovrebbe sapere l'uomo - che si dice «servitore dello Stato» - che così rischia una condanna per diffamazione (chieda, se ha dei dubbi, a i suoi difensori).
Eppoi disdicevole appare il comportamento da pesce in barile (ma qui si tratta di cetaceo, non di pesci) in ordine al povero Buzzi, che, ahimè non può più difendersi, laddove dice che non era un suo informatore e che ben poteva essere stato assoldato dall'estremismo nero per ordire quella atroce operazione: Delfino sa benissimo che con l'eversione nera il Conte di Blanchery nulla aveva a che fare e che i suoi contatti con l'allora Nucleo Investigativo dei Carabinieri, al di là di qualche folcloristica millanteria, si limitavano alla segnalazione dei luoghi di recupero di tele trafugate - spesso da lui - nelle chiese locali, come ammesso dai suoi sottoposti nel corso del primo dibattimento.
Fastidioso poi che, quando gli viene ricordato l'episodio, narrato da Angelino Papa, dell'offerta dei dieci milioni per riceverne la confessione, dica che in fondo un conto è la parola di un generale dei carabinieri e un conto quella di un reietto della società (dopo i fatti il poveretto ha fatto l'umile ed onesto operaio): forse dimentica di aver truffato un miliardo di vecchie lire ad una famiglia in preda alla disperazione (peraltro, riguardo ai dieci milioni, lo stesso Delfino al primo processo fu tutto sommato possibilista riguardo alla circostanza: ammise di aver espresso in termini ipotetici la profferta). Da ultimo, mi permetto di ricordare all'ineffabile ufficiale (che si dichiara così estraneo ai sommovimenti eversivi dell'epoca) l'operazione dell'arresto di Borromeo e Spedini in Valle Camonica con l'auto imbottita di tritolo: la casualità del fermo appare veramente risibile, soprattutto visti, a posteriori, i due rapporti sul fatto redatti da Delfino, uno vero ed uno falso, come da lui ammesso; da quello vero, per intenderci, fu chiaro che i movimenti dei due estremisti erano ab origine monitorati dal comandante del Nucleo Investigativo.
Quindi, per finire, ribadiamolo a chiare lettere: Delfino non fu concorrente nella strage, ma certamente fu un depistatore, non si sa se per mere ambizioni di carriera o per ordini di servizio (segreto).
avv. Arturo Gussago
Brescia
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