Le tradizioni: Brescia vista da un non bresciano

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Quanto contano le tradizioni locali nell'era della globalizzazione? Il dibattito è sempre aperto; sarà che in realtà il nostro Belpaese è ben lontano dall'essere quell'oasi di modernità e progresso rappresentata dai paesi del Nord Europa o dagli Stati Uniti, e forse questo non è un gran peccato. A pensarci bene sono i media di ultima generazione, i social network in continua crescita a offrirci un'idea del mondo fin troppo tecnologica e distante da quella che è la vita di tutti i giorni. Ed è invece camminando fra le vie delle città, ascoltando i discorsi della gente, dialogando con parenti e amici che ci si rende conto di quanto siano importanti l'appartenenza al territorio, il legame con le proprie radici, aspetti inscindibili dall'identità di ognuno. Un legame che a volte può essere trasferito da un paese all'altro, quando per esigenze lavorative o di studio ci si sposta a chilometri di distanza dal luogo natio e si viene a contatto con nuove tradizioni, tanti difetti e altrettanti pregi.

Vivere in un posto che non ti appartiene apre degli scenari inaspettati, cancella dei pregiudizi e ne rafforza altri. D'altronde è proprio attraverso i pregiudizi che passa e si tramanda l'identità di un popolo: se è vero che descrivono perfettamente le abitudini reiterate e forse poco edificanti degli abitanti, allo stesso tempo mettono in luce usi e costumi con i quali vale la pena di venire a contatto per respirare l'essenza più pura del luogo in questione.

Gli usi e costumi radicati nel territorio favoriscono anche la nascita di differenze, creano segregazioni il più delle volte artificiose e Brescia è emblematica in questo senso: uno spettacolo di varia umanità che appare quotidianamente al forestiero che la sceglie come sede transitoria. I simpatici sfottò fra le valli, gli screzi fra i «montagnini» e i «cittadini», il bonario disprezzo verso i lumezzanesi e tutti gli episodi di goliardico campanilismo rafforzano l'identità della provincia e mettono in luce le irresistibili contraddizioni della brescianità nonostante i punti d'incontro siano molti più di quanto vogliano ammettere i bresciani stessi.

Non è difficile che un bresciano chieda come mai si è scelto di trasferirsi proprio qui; nell'intonazione della domanda non c'è solo la semplice curiosità ma tanti sottintesi e controproducenti giudizi sulla propria città. È lo sguardo quasi sbalordito a far sorridere, come se questa fosse l'ultima ruota del carro fra le province italiane. In realtà basta poco per comprendere l'attaccamento del bresciano al suo territorio, poliedrico e suggestivo: il lago di Garda e i suoi paesaggi mozzafiato; la Val Camonica ricca di montagne, località termali, castelli e parchi, la Val Trompia e i suoi suggestivi scorci, i borghi della Bassa. Per non parlare poi della cucina tipica, caratteristica e gustosa, che rinvigorisce, soddisfacendo la vista e il palato, soprattutto d'inverno.

Il bresciano doc si riconosce nel rispetto per la storia locale e il patrimonio artistico, nell'entusiasmo con cui diffonde le proprie tradizioni culinarie, nell'inflessione dialettale ostentata e mai nascosta, in tutta quella serie di caratterizzazioni folkloristiche alla base della fierezza bresciana.
La saggezza popolare è forse la più indicata a ricordarci che anche nel rispetto delle proprie differenze ci può essere crescita e comprensione. In risposta al quesito con cui si è aperta questa riflessione viene spontaneo confermare che contano ancora molto le tradizioni locali, patrimonio ricco e importante per il Paese. Sono essenziali per una vera integrazione nel territorio dove si sceglie di vivere, per comprendere l'umanità con la quale si entra in contatto, per passare dal pregiudizio al giudizio assennato.
Cristian Scarpone - 23 anni, di Lucera (FG)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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