Le lezioni dei nonni e quanto la natura ci insegna tuttora

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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C’era il rifugio Chierego abbandonato da tempo e il punto d’appoggio per ristorarsi e riparasi un poco dal sole o dal maltempo c’era e c’è tutt’ora il Rifugio Fiori del Baldo, gestito fino a poco tempo fa da due Angeli dei monti; una coppia di nonni meravigliosi.

Sembrerebbe uno scritto malinconico, un non volere accettare le cose che cambiano. Cambiano certo, cambiano gli stili di vita, ma ahimè lassù a 1800 metri d’altezza, dove regnava la pace di Dio, il cambiamento è disastroso.

In poche parole scrivo due osservazioni o forse due lamenti per non portare il lettore su vie malinconiche noiose di un sessantenne che ha vissuto la montagna a pane e speck con il cetriolo sott’aceto, un minestrone e per finire con una Sabbiosa (Torta) per chi non la conoscesse.

Si sa che le seggiovie portano disastri sui monti, portano persone che poco hanno a che fare con le cime delle montagne, con i rifugi, con gli abitanti, con gli animali da pascolo o quelli che (c’erano) nei boschi che pare stiano ritornando.

Così per ricordare cos’era un rifugio partiamo dal fatto che al Fiori del Baldo, cosi come quasi tutti, prima di metterci piede bisognava «Cavarsi i scarpon» e indossare le ciabatte; già era un senso di rispetto e accoglienza calorosa del luogo.

Regnava una certa calma e serenità, la fretta di portarti la «pietanza» era relativa. Prima ci stavano quattro chiacchiere per conoscerci o risalutarci con i rifugisti o con i commensali. Una stufa a legna dove asciugare la maglia sudata o piombata di pioggia era necessaria e magari metterci pure i piedi gelidi a riscaldarsi.

I cibi erano la cosa più spiccia che si poteva fare e anche la più economica: i tortelli, le lasagne gli gnocchi nei menu erano un miraggio; c’era pane stantio e formaggio.

Eh… al tavolo con altri commensali ci si raccontava di quella camminata, di quella nevicata, del forte vento di quel giorno nel tale posto o su quel arduo passo e delle vipere incontrate sui sentieri. Tanti bei ricordi si!

Ora per farla breve, centinaia di persone arrivano per abbuffarsi di cibo più o meno buono a prezzi esorbitanti. Il piatto di cibo dev’essere consumato veloce e dir poco perché gli altri ti puntano in piedi come se la fame li stesse uccidendo. I gestori sono al lavoro come dentro un officina; fuori uno dentro l’altro con un tirato sorriso. Il caffè e conto e tanti saluti vorrebbero servirteli sul vassoio con il piatto da consumare.

Sono arrabbiato? Un poco sì, ma indubbiamente più deluso del nuovo che arriva.

Sulle cime di queste montagne calpestate da masse senza cuore, senza amore, senza abiti adeguati, senza sapere nulla di natura, di storie di alpinisti che di là son passati, di sacrifici per costruire questi luoghi sacri, di soldati morti per lasciarci questo patrimonio, vedo storditi tra chiacchiere inutili e comportamenti inadeguati.

La verità è che non si distingue più una Betulla da un Pino, si va a spada tratta difendo animali come orsi o cinghiali senza mai averne incontrato uno tranne allo zoo o su Facebook. Abbiamo perso il senso della bellezza, del rispetto,

del gusto favorendo l’inutile. Non sappiamo più cos’è vero o cosa è falso, inebriati dal famoso Velo di Maya… anche qua avremmo da sapere prima di nominarlo!

Buone future domeniche, sperando che il buon senso ritorni, sperando che i nuovi bimbi nati vengano istruiti sulla bellezza reale.
Alessandro Piotti
Ghedi

Caro Alessandro,

il buon senso ritornerà – o resterà vivo, a seconda dei punti di vista – se ce ne prenderemo cura per primi noi, se saremo capaci di «istruire» i nostri figli con la stessa passione con cui i suoi nonni hanno educato alla bellezza lei. Non tutto è perduto insomma. Anzi, è vero che abbiamo perso molto del buono, del saggio, che il contatto con la natura alle generazioni precedenti aveva garantito («Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà» diceva Bernardo di Chiaravalle), ma c’è da ammettere che negli ultimi anni la sensibilità s’è ravvivata. Bando dunque all’amarezza e alla delusione, nella consapevolezza che, oltre ad uno splendido racconto, la sua lettera è la conferma di un’inversione di tendenza. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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