L'albergo Gnutti di Lumezzane dal '43 al '45

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Ho letto con attenzione la pagina n. 21 di giovedì 18 ottobre curata da Egidio Bonomi dedicata all'albergo «Gnutti» di Lumezzane, trasformato in luogo di prigionia durante gli anni della guerra civile 1943-1945. Da decenni ormai pubblico libri su quel tempo della Repubblica Sociale Italiana. In uno di questi, «Dalla parte della Verità» riporto copia integrale della relazione diretta a Mussolini a firma del colonnello Vito Casalinuovo (finirà fucilato a Dongo nell'aprile 1945), relativa agli internati in quell'albergo. Porta la data del primo marzo 1945. Vito Casalinuovo, che tra l'altro in quegli anni risiedeva in città, via Musei 93 nell'appartamento del giornalista Ottorino Bertuetti, sfollato a Gavardo, cita è vero «12 nominativi di internati che salgono a 25 con i bambini» così come scritto dal Suo collaboratore, ma è bene precisare che all'albergo «Gnutti» dopo l'8 settembre 1943, ne furono ospitati molti di più. Antifascisti e fascisti. Alcuni nomi eccellenti: Giancarlo Matteotti (figlio del martire antifascista Giacomo) che riuscì a fuggire da Lumezzane anche con l'aiuto dell'industriale del luogo Guido Bossini che gli fornì del denaro (assistette nelle ore libere anche all'uccisione del maiale). Raggiunse poi Milano con l'aiuto dell'onorevole comunista Lelio Basso in macchina con il gen. Enzo Galbiati, già capo di Stato maggiore della Milizia.

Una ricerca archivistica durata anni e fino a questo momento mai smentita; Achille Starace, già segretario del partito nazionale fascista, il col. Alessandro Bettoni e molti altri, noti e meno noti. A questo punto mi preme informare i suoi attenti lettori di una testimonianza ricuperata presso l'Università di Pavia, Dipartimento di scienze storiche, scritta da un partigiano comunista della 168ª brigata Garibaldi della provincia di Pavia, Antonio Astolfi, prigioniero anche lui al «Gnutti» all'inizio del febbraio 1945 assieme ad un altro partigiano comunista pavese, Silvio Fortina. «Il Questore di Brescia mi fece portare al campo di concentramento di Lumezzane. Era un campo particolare. Si trattava di una bella villa con parco: il tutto circondato da filo spinato e guardato da fascisti, ma si dormiva in camere con servizi e si mangiava al ristorante dove si trovava ogni ben di Dio. Rimasi fino alla liberazione».

Lodovico Galli
Brescia

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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