La lezione imparata grazie a mia figlia e alle sue compagne
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Lettere al direttore
AA
La scorsa domenica ho accompagnato mia figlia dodicenne alla sua partita di basket, in un paese della nostra provincia. Da spettatore, mentre seguivo la partita, mi è venuto da pensare alla lettera a firma di Alfonso Scelzo, pubblicata sabato sul Giornale, in cui si parla di una «emergenza immigrazione» e dell’esigenza improcrastinabile, per la sicurezza di tutti, di rivedere, ovviamente in senso più restrittivo, le leggi che la regolano e definiscono l’azione delle nostre forze dell’ordine. Forse, persino, delle garanzie costituzionali che tanti sacrifici e tante lotte sono costate alla nostra nazione. Al primo quarto della partita, rimuginando tra me e me, pensavo anche io che l’immigrazione è veramente «una questione»; forse o certamente non l’unica, perché - nella nostra regione, come nel nostro paese - a ben vedere ci sono anche, se non prima, una «emergenza sanità», una «emergenza lavoro» e chissà quante altre emergenze che il governo di turno - quando in carica e non in campagna elettorale - si dimentica di affrontare. Al secondo quarto, però, ho alzato lo sguardo ed ho osservato le compagne di mia figlia, e le avversarie: in campo c’erano dieci bellissime ragazze delle quali, forse, solamente un paio erano «italiane doc». Ma loro non lo sapevano, e continuavano a giocare come amiche e compagne, e ad ogni canestro facevano festa insieme, e si davano il cinque l’una con l’altra. Allora ho sorriso ed ho capito che i nostri ragazzi sono molto più avanti dei loro vecchi. E mi sono anche sentito un po’ piccolo e misero, ed un po’ inadeguato al pensiero delle brutture, morali ancor prima che materiali, che la nostra generazione probabilmente lascerà nelle loro mani.
Diego Ortolani
Gavardo
Caro Diego,
sugli spalti di campi di provincia e città sediamo anche noi e l’impressione è la stessa sua. Così come la conclusione: i nostri ragazzi e ragazze sono «più avanti», tessendo fili dove gli adulti vedono nodi, trovando risposte persino alle domande che fatichiamo a formulare. Non biasimiamo dunque il signor Scelzo, comprendendo i timori di chi non si sente sicuro, di quanti colgono segnali negativi, osservando con orrore un albero cadere, ma al contempo ci conforta l’immensa foresta che contestualmente cresce, fatta di piccoli gesti, grandi amicizie, vita che sboccia insieme, ciascuno portatore di storie diverse e di un valore - la diversità - che paradossalmente unisce tutti.
(g. bar.)
P.S. Un’unica annotazione, a margine. Quei ragazzi e quelle ragazze «più avanti» di noi, sono - non per caso - figli e figlie nostre. Forse allora dovremmo guardare anche alla nostra generazione con occhio più indulgente, convincendoci di non lasciare in dote solo mali e brutture.
Diego Ortolani
Gavardo
Caro Diego,
sugli spalti di campi di provincia e città sediamo anche noi e l’impressione è la stessa sua. Così come la conclusione: i nostri ragazzi e ragazze sono «più avanti», tessendo fili dove gli adulti vedono nodi, trovando risposte persino alle domande che fatichiamo a formulare. Non biasimiamo dunque il signor Scelzo, comprendendo i timori di chi non si sente sicuro, di quanti colgono segnali negativi, osservando con orrore un albero cadere, ma al contempo ci conforta l’immensa foresta che contestualmente cresce, fatta di piccoli gesti, grandi amicizie, vita che sboccia insieme, ciascuno portatore di storie diverse e di un valore - la diversità - che paradossalmente unisce tutti.
(g. bar.)
P.S. Un’unica annotazione, a margine. Quei ragazzi e quelle ragazze «più avanti» di noi, sono - non per caso - figli e figlie nostre. Forse allora dovremmo guardare anche alla nostra generazione con occhio più indulgente, convincendoci di non lasciare in dote solo mali e brutture.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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