La grande illusione della superstrada nell’Alta Gardesana

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La presente prende lo spunto dalla ciclovia di Limone del Garda e consente di rievocare la grande illusione nata tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso che aveva fatto sognare gli amanti ed i cultori del lago di Garda: si tratta della superstrada a due corsie, denominata Alta Gardesana, che avrebbe dovuto collegare la provincia di Brescia con il Trentino percorrendo gli altipiani della sponda occidentale del lago per innestarsi poi con la via del Brennero. L’idea era nata dal fecondo ingegno dell’ing. Riccardo Cozzaglio, progettista nonché direttore dei lavori della Bassa Gardesana realizzata tra il 1929 e il 1931, voluta soprattutto da Gabriele D’Annunzio che risiedeva in quegli anni al Vittoriale e da Augusto Turati, bresciano d’adozione, segretario del Partito Nazionale Fascista, che avevano convinto il capo del governo Benito Mussolini a finanziare l’intervento. «Meandro» sarebbe stato il nome che il Vate avrebbe dato alla strada considerata all’epoca tra le opere più ardite, mentre le 70 gallerie avrebbero preso i nomi dei mitici eroi ed eroine dell’Antica Grecia. Orbene, negli Anni Cinquanta, visto il traffico intenso e l’espandersi del turismo si imponeva una nuova strada alternativa alla Bassa Gardesana e fu così che un gruppo di professionisti bresciani e trentini sollecitarono l’ing. Cozzaglio, che risiedeva in Argentina, a rientrare in Italia per progettare la nuova arteria sapendo che oltre ad essere un valido progettista era anche un esperto conoscitore dei luoghi. Sarà merito di questi mecenati e dell’allora ministro dei Lavori Pubblici, Giuseppe Togni, che venne costituita la Società A.S.A.G.O (Associazione Studi Alta Gardesana Occidentale). Orbene, neo geometra, ebbi la fortuna di essere accolto nello studio di questa società nelle vesti di «piccolo apprendista» o meglio, come diceva l’ing. Cozzaglio, a far parte della sua bottega dove a volte interrompeva il lavoro per trasmettere ai neofiti il suo pensiero che spaziava in molti campi del sapere, imitando in questo i grandi artisti rinascimentali che vedevano nei loro allievi le future speranze. L’argomento preferito era però la «sua» Gardesana, resa possibile, a sua detta, grazie alle carte tematiche del padre, il grande geologo Arturo, che ne aveva esplorato e studiato il territorio. Diceva che la costa rocciosa a strapiombo sul lago gli era apparsa come un gigante assopito di cui lui, esplorate le viscere, ne aveva curato e coperto le ferite con artistici rivestimenti di pietra intervallati da un susseguirsi armonico di pilastri, capitelli, archi, piattabande, e, affinché il Gigante non si vendicasse per l’offesa subita, aveva addolcito i luoghi con piazzuole, vere balconate sul lago, ricche di essenze arboree dai vari colori messe a dimora con terra vegetale appositamente trasportata. Amava ricordare di avere disegnato un tratto di strada stando in una barca traballante, scrutando ed accarezzando con lo sguardo la sovrastante parete rocciosa alla ricerca di speroni e rientranze su cui appoggiare arditi manufatti. Oltre ad essere un valido ingegnere era anche un esperto botanico per cui nelle frequenti escursioni spariva nel bosco per ricomparire con un fascio di erbe medicinali di cui, iniziando dal nome latino, illustrava ai suoi allievi le virtù terapeutiche. Sapeva inoltre maneggiare la penna con perizia spronato dall’amico Gabriele D’Annunzio tanto che gli interventi più significativi li scriveva nella lingua di Cicerone; eppure quello che lo distingueva era la semplicità ed il suo modo di rapportarsi con la gente, soprattutto con le persone che stimava ed amava. Mi piace ricordare a tal proposito la sera in cui a Tremosine, dopo avermi introdotto nella grande biblioteca dei suoi avi, aperto uno stipetto, mi aveva fatto vedere furtivamente, senza vantarsi, le numerose decorazioni e benemerenze italiane ed estere ricevute da vari Capi di Stato nel corso della sua vita errabonda, poi, presomi sottobraccio come fossi suo figlio, mi aveva condotto nell’adiacente parco del vecchio castello, diventato la sua casa, per indicarmi una ad una le piante che suo padre aveva piantato a ricordo di avvenimenti importanti della famiglia. Alla fine additandomi il vecchio «sentierone», per secoli unica via di collegamento tra il lago e la Pieve di Tremosine, mi aveva narrato storie inedite degli antichi borghi, da secoli in lotta tra loro per la conquista di un pezzo di terra, borghi che lui aveva tolto dalla endemica miseria grazie alla «sua gardesana». Voleva che nello studio aleggiasse l’armonia come se fossero presenti le Muse, clima ideale per vedere sbocciare tra le sue dita, come fosse un fiore, il tracciato della strada il tutto sotto gli occhi attoniti dei suoi allievi. Era destino che l’opera non andasse in porto perché i sindaci e gli albergatori della riviera, per tutelare il turismo del basso lago, fecero predisporre un progetto alternativo dividendo le varie comunità mai immaginando che la polemica avrebbero favorito l’Autostrada Verona-Brennero che, costeggiando l’Adige, non recava alcun beneficio al territorio del lago di Garda.

// Luigi Agostini
Nave

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