La forbice stipendi è troppo alta tra vertici e base

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Mentre il dibattito sugli stipendi in Italia viene monopolizzato da disquisizioni accademiche sul salario minimo, a nessuno (o quasi) viene in mente che si dovrebbe mettere mano subito al tetto dei salari massimi, sforbiciandoli con estrema decisione, oserei dire con brutalità. Infatti, stando al settore privato, amministratori delegati di società quotate in borsa (Orcel per Unicredit, ad esempio, ha uno stipendio annuo di 9,75 milioni di euro) mentre direttori, dirigenti e manager delle più svariate società, a onor del vero, si devono «accontentare» di retribuzioni molto più basse, ma comunque stellari rispetto alla media degli stipendi di impiegati e operai. Anche nel settore pubblico ci sono aree di eccellenza (retributivamente parlando) riservate a funzionari e burocrati, equamente distribuite su tutto il territorio nazionale (in questo l’Italia è omogenea). Riguardo a questa corsa all’Eldorado partita negli anni ’80, appannaggio di una piccola élite di privilegiati, sembra non sussistano freni o inibizioni o considerazioni morali o sociali che contrastino il fenomeno. E il popolo? «Entat te Ceco laura e scaldet per i risultacc de’ le partide (intanto tu Francesco lavora e abbi a cuore i risultati del calcio)». Alla plebe, da questi signori della busta paga, viene dato un tozzo di pane insieme alla somministrazione del calcio in tv, e le veline, ossia la riedizione Duemila del «panem et circenses», pane che ai tempi degli Imperatori era davvero oro, ma è probabile che lo diventerà pure per noi, visto che quelli della UE vorrebbero convincerci a sfamarci con grilli e larve, per fare un favore a Madre Terra. Nulla di nuovo, quindi, sotto il sole (Qoelet).
Daniela Farina

Cara Daniela,

siamo onesti: come darle torto? In pochi ne parlano e pure noi siamo restii a farlo poiché - riguardo questi temi - demagogia, retorica e semplicismo sono sempre in agguato.

Se omettessimo tuttavia parole chiare ci renderemmo complici o correi di una stortura che non può essere ricondotta alla banale logica di mercato.

Esistono due ordini di fattori: uno etico, l’altro pragmatico.

Sul primo abbiamo pochi dubbi: la forbice che in alcune strutture aziendali esiste tra i vertici e l’ultimo dei collaboratori non può essere ampia centinaia o migliaia di volte. Specialmente tenendo conto che essa si è allargata a dismisura negli ultimi decenni, come conseguenza di precisi intendimenti (così come, dagli anni Settanta del secolo scorso in poi, va via via diminuendo la ridistribuzione del capitale, per cui i ricchi sono sempre più ricchi e la classe media si è molto assottigliata).

Sul secondo, cioè come effettivamente intervenire affinché la distanza non sia un abisso, abbiamo invece meno certezze, tuttavia dire: «è sbagliato» e cominciare a discuterne crediamo sia un punto di partenza valido. (g. bar.)

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