L’anima dei nostri ragazzi sta finendo in mille pezzi
Prendo la parola e le scrivo in quanto vorrei consegnare a lei e alla cittadinanza la mia personale preoccupazione, condivisa con la Comunità educativa che sono chiamato a guidare, attorno alla gravissima emergenza che stiamo attraversando. Siamo alla vigilia della solennità del nostro fondatore, San Giovanni Bosco, che ci ha testimoniato cosa vuol dire aver cura della gioventù e ci ha indicato la strada per spenderci per la salvezza di questa parte della società, la più preziosa. Lui stesso, nella seconda metà dell’800, si rese conto, di fronte al grande cambiamento della società con l’avvento in Italia della rivoluzione industriale, di come le speranze dei giovani, che si trasferivano in città dalle valli attorno a Torino in cerca di lavoro, si trasformavano in sfruttamento, miseria e delinquenza. Nell’osservare la Torino di allora vide tutto questo e decise in cuor suo di iniziare a radunare quei giovani nella certezza che «se avessero un amico che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuito il numero di coloro che ritornano in carcere?». Con questo pensiero nel cuore iniziò la sua opera a cui si dedicò per tutta la vita e che gli richiese il superamento di molte difficoltà, con la sola arma dell’affidamento in Dio e in Maria Immacolata e Ausiliatrice. Caro direttore, sono passati ormai quasi 180 anni da quando don Bosco incontrò il suo primo ragazzo, l’8 dicembre 1841, e guardandomi intorno vedo certo un contesto diverso ma provo gli stessi sentimenti del Santo dei giovani. Non vedo più ragazzi sfruttati che lavorano 12/15 ore al giorno; non vedo più situazioni di malnutrizione e miseria tra i giovani che frequento; ma vedo tanta sofferenza e smarrimento e mi chiedo come possiamo dare una risposta a questa situazione. Mi trovo alla guida della comunità educativa del Don Bosco di Brescia da quasi cinque anni, sono felice della missione educativa che mi è stata affidata, la condivido con uomini e donne preparati con un grande cuore e desiderosi di spendersi per il bene dei giovani. Riconosco anche tutte le qualità della mia terra, essendo bresciano di origine: la ricchezza delle sue tradizioni culturali, religiose, civili, produttive. Proprio per questo non posso evitare di esprimere la mia grande preoccupazione per il mondo giovanile. Le ragioni hanno radici profonde e risiedono nel cambiamento avvenuto negli ultimi trent’anni, cambiamento che ha impoverito sempre di più il nostro tessuto comunitario, anche senza volerlo. Tutto ciò ha portato ad uno scollamento tra le diverse agenzie tra cui quelle educative, con il risultato che i nostri giovani si sentono sempre più soli e abbandonati, anche dalle generazioni che li hanno preceduti. Non è colpa della pandemia se ci troviamo in questa situazione. L’ultimo anno non ha fatto altro che mettere in evidenza ciò che già c’era e che in pochi avevano il coraggio di denunciare con franchezza. La chiusura delle scuole e la didattica a distanza hanno messo in evidenza con più chiarezza, e per certi aspetti hanno accelerato, il processo di frammentazione del tessuto comunitario, con il risultato che l’anima dei nostri ragazzi sta finendo in mille pezzi più velocemente. Sono consapevole del peso delle parole che esprimo, ma credo che sia arrivato il momento di dichiarare da che parte stiamo, e noi salesiani stiamo dalla parte dei giovani. «La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale», diceva G. K. Chesterton. Solo una rinnovata fiducia che giunge dalla fede può farci riprendere consapevolezza che il seme di immortalità presente in ciascuno di noi può essere un motivo per ripartire. La comunità educativa della Don Bosco, in tutte le sue espressioni (parrocchia e oratorio, scuola, formazione professionale), unitamente alle Figlie di Maria Ausiliatrice, è in prima linea nell’accogliere questa sfida giovanile, come certamente lo sono anche molte agenzie educative del territorio. Ma abbiamo bisogno di una nuova alleanza, abbiamo bisogno di ricostruire una nuova comunità. Da soli facciamo tutti più fatica. I nostri ragazzi hanno bisogno di respirare, hanno bisogno delle nostre migliori risorse per far crescere il bene che c’è in loro e questo lo si può fare solo aprendo e creando contesti dove possono sentirsi guardati, accolti e ascoltati, esattamente come ha fatto don Bosco. Per questa ragione trovo veramente imperdonabile l’aver chiuso le scuole, le chiese e gli oratori in questo periodo di difficoltà. Noi siamo pronti per dare il nostro contributo, ma per favore, permetteteci di incontrare i giovani. Non voglio sminuire l’importanza di un risposta adeguata anche sotto il profilo sanitario. L’emergenza c’è, la gente muore ed è necessario agire a tutela delle persone più fragili. Tra queste però ci sono anche i nostri ragazzi. La chiusura dei luoghi di cultura, preghiera e aggregazione è un messaggio chiaro e forte ai nostri giovani. Un messaggio che rischia di essere l’espressione di una resa nel compito che ci è affidato nel prenderci cura di loro. Non possiamo permettere che giunga questo messaggio, perché prima o poi ne dovremo renderne conto, oppure qualcuno ci ripagherà con la stessa moneta e non sarà un bel giorno per noi.
// Prof. don Emanuele CucchiDirettore dell’Opera salesiana e Comunità educativa pastorale Istituto salesiano Don Bosco
Gentile direttore, il suo argomentato appello ad una «nuova alleanza» nel nome dei giovani merita attenzione e adesione. Il momento è delicato e, concordiamo con lei, e non solo per la pandemia che semmai lo ha reso ancora più evidente, più bruciante. Ce lo dicono e ripetono gli educatori come lei, ma anche gli stessi ragazzi, manifestando disorientamento. Non si spiega altrimenti l’adesione, in massa, ad un questionario proposto in questi giorni dal GdB e curato dalla cooperativa Sinapsi: ben 1.300 quelli già compilati in sole 48 ore. I giovani cercano spazi, cercano ascolto. La loro voce non può, non deve lasciarci indifferenti. Lo strumento che abbiamo messo a disposizione è fugace: viaggia sul web (www.giornaledibrescia.it), è anonimo e a tempo determinato. Si prefigge di raccogliere le impressioni dei ragazzi, i loro bisogni, le loro esigenze. Sarà interessante valutarne il risultato che volentieri restituiremo a chi vorrà analizzarlo. È uno strumento, non una soluzione. Per quella serve molto di più, cominciando dall’assunzione di una responsabilità collettiva. Strattonati e sfilacciati dalle tante emergenze dell’oggi, rischiamo di dimenticarci del domani. A carissimo prezzo. (n.v.)
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