Io, neopensionata, vi parlo del futuro di noi infermieri

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Da infermiera neo pensionata, dopo quarantadue anni ed un mese trascorsi nel nosocomio pubblico cittadino, chiedo di poter rendere noti alcune riflessioni in merito alla «Condizione Infermieristica».

Perché lavorare in ospedale non ha più alcuna attrattiva per i giovani e a scegliere questa professione è una piccola minoranza?

I neolaureati preferiscono altri ambiti, quali ambulatori privati, farmacie, medicina del lavoro, centri prelievi etc. etc., molti ambiscono alla dirigenza, come scappatoia, evitando così il duro lavoro che spetta a coloro che scelgono le corsie degli ospedali.

Oltre a ragioni economiche, stipendio inadeguato rispetto al sacrificio e alle responsabilità, allo stress delle turnazioni, ai riposi e ferie mai garantiti, vi è una questione di identità, il ruolo degli infermieri e infermiere è svalorizzato. L’assistenza di base è stata delegata quasi completamente al personale di supporto (Oss), limitando così il contatto, la tanto sbandierata, ai miei tempi, «osservazione del malato», la relazione, cardini della professione. L’incremento della tecnologia, se da un lato ha semplificato alcune procedure, dall’altro le ha rese più complesse, tanto da richiedere in alcuni settori, una competenza tecnica non indifferente. La burocrazia si è ingigantita, cartelle infermieristiche e le varie «schede/scale» da compilare per ogni paziente, a volte al limite dell’assurdo. Senza contare che l’informatizzazione della cartella clinica non è ancora stata applicata.

L’aspetto che incide maggiormente però è la mancanza di autonomia a fronte di un elevazione del percorso formativo. A volte, anche nel campo di competenza infermieristica, quello assistenziale, è necessario il consenso del medico, conseguenza di una medicina difensiva. In questi ultimi mesi si è parlato di possibilità da parte delle infermiere e infermieri di prescrivere dei «presidi sanitari», come se questo corrispondesse ad un cambiamento significativo.

La libertà d’agire è limitata da protocolli e linee guida, necessari per uniformare le pratiche con il risultato di una spersonalizzazione dell’assistenza. L’assistenza infermieristica è stata definita come insieme di «Scienza ed Arte», purtroppo però, la parte creativa spesso si riduce alla modalità, più o meno competente, con la quale si erogano le prestazioni e non nel discernimento delle stesse. Autonomia dal mio punto di vista significa poter decidere nell’ambito assistenziale, ma anche terapeutico, nella gestione dei pazienti cronici, terminali, o di problematiche minori. Significa modificare la legislazione, così come in passato si è abolito il mansionario, ora è doveroso promuovere uno spazio decisionale più ampio, i tempi sono cambiati.

Vuol dire considerare l’infermiere/a come figura complementare e non in toto subordinata ad altri, riconoscendola da un punto di vista economico e sociale.

Concludo affermando che comprendo appieno le ragioni per cui i giovani scelgono altri percorsi di studi. Se non si apporterà una sostanziale trasformazione, in futuro chiuderanno non solo i reparti, ma pur

e gli ospedali. Agli infermieri rimasti in prima linea, chiedo una maggiore coesione e formazione culturale, non solo sanitaria; cultura significa acquisizione di una coscienza politica ed etica al fine di difendere i propri diritti e promuovere il bene comune. Ognuno, come affermava G. Falcone «deve continuare a fare la propria parte per grande o piccola che sia»

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Giuseppina Zaninelli

Cara Giuseppina,

cominciamo con le congratulazioni. Quarantadue anni sono una vita e s’è meritata sul campo non soltanto la nostra riconoscenza, ma pure la possibilità di dire la sua. Una disamina motivata ed esaustiva, a cui possiamo aggiungere poco o nulla. Se non sottolineare come ci pare abbia ragione sul nocciolo della questione: è stata imposta una formazione elevata, universitaria, per infermieri e infermiere, ma di fatto facciamo contare loro poco o nulla. In alcuni casi addirittura meno di quando bastavano un paio d’anni dopo la terza media. Promuovere uno «spazio decisionale più ampio», renderli protagonisti della nuova sanità, facendoli essere meno

«segretari di corsia» e più operatori sanitari che si prendono cura della persona, valutando, discernendo e prendendo decisioni ben definite, ma in autonomia, dovrebbe essere la via maestra. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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