Insieme imprese, lavoro e sindacati

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Siamo in una crisi invasiva che è al centro delle preoccupazioni di tutti, preoccupazioni sembra legate principalmente all'emergenza finanziaria, che deborda alla nostra attenzione. Ritengo indispensabile che si sviluppi a Brescia un coinvolgimento di studi e di proposte generato innanzitutto dalle molte associazioni, fiorenti a Brescia che vivono ed operano nel mondo del lavoro, delle imprese, del Sindacato e della formazione, anche con responsabilità istituzionali.
Parlo essenzialmente della Camera di Commercio, delle Associazioni imprenditoriali, del Sindacato, volendo restringere il campo ad evitare ridondanze da «Stati generali». D'altra parte è nota la proposta del nostro Prefetto che mi appare simile negli scopi a questa. L'alta complessità della crisi consiglia di enucleare quanto prima il cuore del problema e su di esso concentrare le nostre attenzioni propositive.
Io credo che anziché continuare ad insistere sul tema della crisi finanziaria (di fronte alla quale possiamo fare ben poco di più di quello che abbiamo già fatto nel campo del credito) sarebbe meglio concentrare le nostre preoccupazioni sul tema centrale dell'impresa e del lavoro, da cui partire per trovare unità di intenti, sinergie e messa in rete delle nostre e altrui risorse. Anche il Contratto Fiat senza il più numeroso dei sindacati, insegni.
Vedrei bene la CCIAA quale autorevole ed indipendente ente super partes che ha tutte le credenziali per proporsi come enzima di competenza e di rappresentanza in proposito. Sono presenti nel suo Consiglio, tutte le Associazioni imprenditoriali, il Sindacato, i Consumatori, il Commercio, il Turismo ecc. Si parta dalla presa di coscienza dei 2 milioni e 80 mila unità di disoccupati (76000 in più del mese precedente) a cui aggiungere le oltre due milioni e settecentomila persone della forza lavoro che sarebbero disponibili a lavorare, ma hanno perso la speranza di trovar lavoro.
Senza contare che il 29,30% è fatto da disoccupazione giovanile (da 15 a 24 anni): L'Azienda Italia ha cinque milioni di persone che non possono lavorare. Situazione esplosiva che deve coinvolgere non solo i governi ma la base della società che è quella locale-provinciale. La capacità progettuale di una società locale, orientata verso il bene comune ed il futuro, si misura sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire.
Lavoro, ovvio, non solo fonte di reddito ma affermazione della dignità della persona e della sua famiglia. Nessuno di noi può misconoscere il legame che lo collega a quanti oggi diventano improvvisamente degli «esuberi» o ai tanti che temono di divenirlo da un giorno all'altro (precari). Da qui l'obbligo morale a entrare in campo.
Occorrerà anche guardare oltre frontiera e capire se è applicabile la cosidetta flexicurity contrattuale (maggior possibilità di licenziare, compensata da una maggior protezione economica e professionale di transizione), superando così il conflitto tra lavoratori protetti e non protetti, con collegamenti necessari alla struttura della imposizione fiscale: oggi i ceti produttivi, capitale e lavoro, si possono finalmente considerare alleati di fronte allo strapotere dei percettori di redditi, finanziariamente intesi.
Si ha la chiara sensazione, invece, che sopravviva la cultura ereditata dal secolo scorso di uno scontro inevitabile tra capitale e lavoro, ignorando la centralità dell'impresa e del suo capitale umano e di tutti quelli che vi confluiscono. Il Sindacato italiano, e le organizzazioni datoriali, soffrono da decenni di questo conflitto con la risultante tendenza ricorrente di chiusura alla «partecipazione», estesa a tutte le componenti dell'impresa. Abbiamo urgente bisogno, da una parte di Associazioni imprenditoriali, dall'altra di Sindacati, che sappiano finalmente operare con intelligenza collaborativa di lavoratori e imprenditori, che vincono assieme se giocano assieme, in una nuova stagione di collaborazione basata sull'informazione e la conoscenza dei problemi dell'azienda e del suo futuro e sul rispetto reciproco del Capitale umano dei lavoratori e degli imprenditori (informazione e rispetto tagliano la conflittualità).
Sottesa dunque la logica di impresa della contrattazione locale e non del modello antagonista che ancora perdura tra le parti. Se non ci si avvicina a questo traguardo si avrà, ancora una volta, solo un esito certo: quello di spaccare e distruggere lavoro, impresa, famiglia e Società. Tutte le parti in gioco se ne sentano responsabili. Ci sono versioni di possibile «partecipazione», che vanno da informazione e consultazione a quote di salario legate ai risultati, fino alla partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali e alla presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari.
Non si esce da questa crisi, senza che si trovi il modo di collegamento partecipativo tra impresa, collaboratori e sindacato. Da qui può nascere una rinnovata coesione sociale giusta ed opportuna.
Sullo sfondo la scuola ed un nuovo vento culturale di impegno per il bene comune. Sullo sfondo una formidabile prospettiva, quella dei laici associati, appartenenti alle nostre Chiese che possono portare competenza e passione nella società, sfuggendo al rischio della crescente irrilevanza del loro apporto alla politica, nel pluralismo articolato in varie posizioni a servizio di essa, per il bene comune.
Sarà possibile mettere l'interesse generale davanti a quello particolare e recuperare uno spirito condiviso?
Se non ci riusciremo la pagheremo cara.
Ferdinando Cavalli
Brescia

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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