In Casa di riposo o con la badante? Conta solo il bene

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Mi sono commosso leggendo la lettera del signor Giuseppe Agazzi intitolata «Il silenzio di un padre «lasciato» in Casa di riposo», mi sono tornate alla mente le circostanze che mi hanno costretto, sì costretto, a ricoverare mia mamma. Quarant’anni fa non c’erano signore disposte a far da badanti, o quantomeno io non ne conoscevo e così ogni mattina prima di andare in ufficio passavo da mia mamma per alzarla dal letto, provarle pressione e glicemia, prepararle la terapia farmacologica e terminato il lavoro ripassavo da lei. Un mattino la trovai stesa in terra in uno stato confusionale; subito ricoverata i medici consigliarono una struttura per anziani perché la mamma non poteva più rimanere da sola. Col cuore gonfio di dolore feci ciò che mi fu detto, ma non passava giorno che dopo il lavoro non andassi a trovarla, trascurando alle volte anche la mia famiglia. Il sorriso con cui mi riceveva mi dava grande gioia, ma anche tristezza per non poterla tenere con me ed assisterla come lei aveva fatto con me quando ero piccino. Ora mia mamma è lassù assieme al mio papà, rimane il ricordo di lei e un po’ di rammarico: avrei potuto forse fare di più?
Elio Palvarini Chiedo di dare il mio modesto riscontro alla lettera del signor Agazzi. Lo sento quasi un dovere nei confronti dei tanti anziani che da una Rsa leggeranno e di tanti figli e parenti combattuti sulla scelta da fare per i propri cari, dovere nei confronti di chi pensa che «lasciare» (che brutto termine) il proprio caro ad una badante sia meglio di una Rsa. Per cominciare, se non si trova il tempo per andare in Rsa, non lo si troverà neppure a casa dalla badante; ancora, un anziano che si ritrova in casa una estranea, che spesso non parla neppure la sua lingua, sperimenta sempre e comunque tristezza, senso di abbandono, disorientamento e tante difficoltà di adattamento, proprio come in una nuova struttura. E la cura delle relazioni e la socialità che nelle Rsa sono sempre più ricercate ed attuate con educatori specifici e volontari per momenti ricreativi fra ospiti e famiglie? Come vivono invece quegli anziani, magari paralizzati e costretti a letto, che vedono e vivono h24 solo ed esclusivamente la propria badante? Che stimoli ricevono? E le competenze medico infermieristiche, sono tutte così esperte le badanti? (Non me ne vogliano, ne conosco tante e sono bravissime persone!). Avrei tanti argomenti ancora, ma preferisco condividere la mia eterna gratitudine alla mia mamma per la grande testimonianza che ci diede: lasciò scritta esplicita richiesta di essere ricoverata presso una struttura «in caso di infermità fisica e/o mentale... così lì diventerà la nostra nuova casa, ove verrete a trovarmi quando vorrete e potrete e sarete certi che avrò tutte le cure mediche ed assistenziali necessarie!». Nonostante una parentesi molto negativa in una delle due strutture cui abbiamo affidato la mamma, sono tuttora così in pace e serena e custodisco invece quelle visite quotidiane, lo scambio di informazioni fra noi familiari, le strette di mano, gli sguardi silenziosi, le sue preghiere, i suoi tentativi di cantare durante le attività comuni. Qualsiasi situazione la vita ci presenti, non facciamo di tutta l’erba un fascio, sforziamoci di conoscere, confrontaci senza (pre)giudizio... e guardare anche il bicchiere mezzo pieno qualche volta!
Lettera firmata Leggendo la lettera del signor Giuseppe Agazzi ho avuto sentimenti contrastanti, ma che si concretizzano in un unico finale: due egoismi opposti ed identici. Voglio pensare che questa situazione sia frutto di fantasia, se non di paure inconsce. Due figli, giustamente preoccupati per evidenti «incidenti» al genitore, prendono una complessa decisione di affidare alle cure di una struttura sanitaria specializzata, piuttosto che alle cure di una badante, la vita del padre. Padre che chiaramente si oppone all’allontanamento dalla sua casa, dai suoi ricordi, dalle sue abitudini di una vita vissuta fin lì in completa autonomia. Decisione difficile. Ho sempre pensato che i figli debbano vivere la propria vita e non quella dei genitori, evitando i ricatti affettivi e le pressioni che sicuramente i genitori mettono in campo, a volte anche inconsapevolmente. Il Dalai Lama diceva: «Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere». Ecco, io quell’amore, in questa storia non lo vedo. Né da parte del padre, né da parte dei figli. Ognuno probabilmente impegnato ad avere un ruolo da protagonista nella vita degli altri.
Ornella Cottini

Carissimi,

sui casi singoli sospendiamo il giudizio, che prima di sentenziare dovremmo tutti «camminare almeno tre lune nei mocassini dell’altro».

Ciascuno fa come può, come crede, come ritiene giusto, a volte in virtù di scelte consapevoli, altre spinto da circostanze estreme, ché non sempre la vita siede al tavolo che abbiamo apparecchiato per lei.

In questo senso evitare generalizzazioni e guardare a se stessi invece che agli altri è giusto, prima ancora che necessario. Rispetto per tutti dunque, anche se una regola aurea l’abbiamo: voler bene all’altro. Che si traduce, da parte dei figli, con un senso di riconoscenza per chi ci ha cresciuto, e da parte dei genitori con l’accettazione che nei confronti dei figli si sarà sempre in credito e li si ama per quel che sono e non per ciò che possiamo riavere in cambio. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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