Il lettone della zia di campagna

Ricordi.
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Vivevo a Brescia con la mia famiglia, ma le mie vacanze estive, premio del buon andamento scolastico di bambina diligente, si realizzavano in cascina dalla mia zia Isabella.

Quella cascina, nell'entroterra del lago di Garda, rappresentava per me... il mondo. Diciotto famiglie e un numero indefinito di bambini, scalzi, nemmeno tanto puliti che razzolavano nell'aia, nel cortile e nelle vigne adiacenti assieme a galline, cani, col pavone e le oche. Entravamo liberamente nelle stalle e assistevamo alla mungitura.

I più grandicelli potevano assistere al parto degli animali, allo scopo di "dare una mano". E l'esperienza si traduceva in una concreta educazione sessuale.

Ma stamattina, il mio pensiero è tornato al lettone della camera nuziale della zia Isabella. Quel lettone, che mi pareva immenso, troneggiava nella modesta camera dal pavimento scricchiolante di levigate assi di legno. La stanza, con piccole finestre ornate da tendine bianchissime e linde, era spoglia. Un lavabo, una sedia, un armadio piccolo a due sole ante e il lettone.

Candido, con cuscini rigonfi, con la pesante coperta di cotone bianco, realizzata dalla sognante zia Isabella che l'aveva portata "in dote". Quattro materassi di pura lana soffice alzavano ulteriormente quel letto già imponente. Dopo un sommario lavaggio serale nel cortile della cascina, venivo presa in braccio dalla zia Isabella che mi buttava (letteralmente) al centro di quel letto sul quale non avrei potuto salire da sola, all'epoca.

Più avanti nel tempo avevo imparato a prendere la rincorsa per conquistare quella soffice montagna di nitido biancore. Le ruvide lenzuola tessute in casa, profumavano di lavanda, la zia dormiva al mio fianco e, nel dormiveglia, mi teneva la mano. Poi, il nulla beato, finché il canto del gallo annunciava il nuovo giorno.

Questi ricordi hanno trasformato in un dolcissimo sorriso la smorfia di un dolore che non ho potuto evitare. La fitta alla schiena mentre mi chinavo per riassettare il mio lettuccio basso, ormai singolo, mi ha costretto ad una sosta.

Mi sono seduta per un breve intervallo e quasi settant'anni del mio tempo sono spariti per riportarmi ai quattordici anni che avevo quando ho dovuto rinunciare alle splendide, indimenticabili vacanze in quella vastissima, modesta casa tra i canneti. Finite le scuole medie, mi trovai ad assolvere altri impegni anche nei mesi estivi, ma questa è tutta un'altra storia.

Renata Mucci

Brescia

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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