I veri e diversi casoncelli di Longhena

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Viviamo un periodo nel quale abbiamo il piacere di riscoprire le tradizioni del paese in cui siamo nati e vissuti. Personalmente mi sento orgoglioso quando scopro delle particolarità che differenziano la bassa bresciana: i famosi casoncelli di Longhena sono una tipicità unica e potrebbero essere in pericolo se si uscisse dai binari della loro originalità. Essi sono a me ben noti, in quanto parte consistente di un periodo importante della mia vita. Infatti mia madre era nativa proprio di Longhena e veniva da una numerosa famiglia con diverse sorelle, tra queste la «maestra Maddalena», a cui è dedicato l'asilo del paese. Una riconoscenza che la popolazione ha voluto dare per i tanti anni dedicati all'insegnamento con l'ausilio della sorella Antonietta. Queste mie zie, durante gli anni delle due guerre e quelli seguenti dell'emigrazione dal paese alla città, facevano assistenza gratuita ai malati del paese. I parenti alcune volte regalavano per riconoscenza delle primizie alimentari e quasi tutto poi veniva portato alle famiglie più povere. È stato in quel frangente che ho avuto modo di assaggiare i primi casoncelli. La casa dove abitavano le zie era adiacente la trattoria «Antica Stella», prima dei Pelucchi e poi della brava signora Margherita Varisco, di animo sincero, schietta ed affabile, convinta delle tradizioni vere, senza cedere alle influenze del modernismo. Ogni tanto vado ancora a mangiare i casoncelli veri di Longhena, che solo lì si mangiano, e che mi ricordano la fanciullezza: il tavolo di legno grande, pieno di farina, i miei tentativi di dare una mano alla mamma Giuseppina, che mi insegnò a farli. Negli anni della povertà, le ragazze del paese si riunivano nella cascina delle Vecchi e ballavano al suono del verticale. Tutto era improntato su pochi alimenti genuini, ma con molte varianti: il fricò, fatto con le regalie di pollo, il pollo, la pestatina di lardo, le verza, le uova, i casoncelli, i capolini, il formaggio, il latte, gli gnocchi di pane col brodo di gallina, raramente anche il maiale. Qualche volta mi capitava di fare compagnia a mio zio «Pì» oppure a mio padre, che vendeva macchine da cucire, e le prime radio. Si peregrinava nelle cascine, dove venivamo invitati a degli spuntini genuini. Mi sono sempre chiesto come mai i casoncelli che facevano a Longhena, fossero diversi sia nel ripieno sia nella pasta rispetto a quelli dei paesi vicini Barbariga, Lograto, etc. Questi assomigliavano alle molteplici varianti che si trovano in Italia ed in Europa. Ne ho mangiati un po' di tutti i tipi, in quanto la mia professione, da cinquant'anni, è quella di progettare ristoranti nell'ambito europeo. Un aiuto importante per capire meglio è stata la ricerca «Le paste ripiene, i casoncelli bresciani» effettuata nel 2002-3-4 dagli alunni scuola alberghiera statale Ipsar di Brescia ora intitolata al Mantegna, con il supporto degli insegnanti Alberto Franzoni e Maurizio Biban. In tale ricerca si descrivono i vari impasti, le forme ed i modi, con molteplici fonti storiche, da Folengo a Galeazzo degli Orzi, a Ortensio Landi e aggiungo mons. Paolo Guerini in «Brixia sacra», Colleoni, il Boccaccio. Gli alunni nel loro lavoro hanno evidenziato l'imprecisione e l'incompletezza forzata delle ricerche, in quanto la stragrande maggioranza della popolazione dei secoli scorsi era ignorante, non sapeva né leggere né scrivere, e si tramanda le conoscenze a voce. Inoltre all'epoca i cuochi erano considerati miserandi, e dovevano sapere a memoria le ricette che venivano chiamati a fare. In ragione anche della storia mi permetto avanzare una mia teoria sul perché della singolarità del fagottino di Longhena, paese di 500 anime circa. È un luogo di persone rispettose delle istituzioni, e con radicati principi religiosi. Per questa caratteristica, nel 1923 il paese subì un'incursione dei fascisti di Lograto che manganellarono i contadini cattolici. Potrei inoltre dire che i Longhenesi sono di natura spontanea, dotati di sana furbizia, gelosi del proprio ambiente, inteso anche culturalmente. Infatti è noto che nel 1945 si vollero staccare da Mairano, e fare un proprio comune. Per non perdere tempo, dopo la liberazione, con un carretto andarono a ritirare tutte le carte a Mairano e le portarono a Longhena. Dopo questa breve conoscenza del paese di Longhena, vengo alla storia, ed al perché sono nati i casoncelli. Cercherò con dei concetti cardine di spiegarmi. Tutti sappiamo che nel medioevo numerose pestilenze causarono molti morti, con un seguente calo demografico e carestie. La Chiesa, in piena controriforma, con la caccia alle streghe e con l'inquisizione attiva, ordinò una restrizione alimentare che colpì con più rigidità i poveri: la composizione dei cibi non doveva essere assolutamente di origine animale. La convinzione era che il corpo fosse inferiore e che si dovesse anche ricordare il sacrificio di Cristo. Il digiuno era particolarmente duro in diversi periodi dell'anno. Nobili e prelati erano ritenuti diversi, una casta con apparato digestivo delicato, in quanto raffinata e superiore. Pertanto la loro dieta poteva variare, ed essi cominciarono a consumare animali marini, pesce, e persino castori. Il resto della società si inventò dei piatti che potessero essere gustosi e nutrienti anche se composti senza la carne. Ogni credente si mosse secondo la propria convinzione religiosa, e per la paura del castigo divino. Si può quindi ritenere che la bassa plebe del borgo di Longhena, da convinta credente, fu ligia al proprio dovere, a differenza di altre comunità e assecondò le direttive della Chiesa sino in fondo. Così si suppone sia nata la tradizione del casoncello, tramandata a voce sino ad oggi, ma la cui originalità ora è in pericolo. Il casoncello di Longhena infatti è l'Unico che non contiene l'uovo (perché di derivazione animale), sia nella pasta che nel ripieno; la sfoglia deve essere il più sottile possibile, in breve tempo tagliata a misura, e subito riempita a forma di grossa caramella, altrimenti secca e bisogna buttarla (il ripieno varia con le stagioni). Poiché si rompe facilmente, bisogna procedere sempre con poca sfoglia alla volta. Il suo colore è bianco cenerino (non giallo) con trasparenza del ripieno: queste sono le sue caratteristiche storiche, e così dovrebbe essere fatto, ma si è notato purtroppo che così non è, e ciò dispiace. Mi permetto allora di rivolgere, un caldo invito a coloro che ora li producono in grandi numeri, dal sapore buono, ma che purtroppo contengono uova e altro. Mi permetto di rivolgermi anche agli organizzatori delle feste, che servono tali casoncelli non per scelta, ma perché quelli «veri» non sono facilmente approntabili in elevate quantità. Vi chiedo, per amor di patria, di non chiamarli «Casoncelli di Longhena di tipo tradizionale», anche se sono fatti a Longhena. Chiamateli con un'altro nome, in quanto non corrispondono affatto al disciplinare tramandato a voce dai nostri avi. Questa informazione è d'obbligo per onestà, e per i clienti che li mangiano, compreso il sottoscritto. Di proposito non ho spifferato tutti i segreti. Caldamente sollecito chi ha a cuore la tradizione del «casoncello di Longhena», che è una semplicità unica, di non offendersi per quanto ho scritto, ma che abbia il coraggio di difenderla.

Eugenio Gandelli
Brescia

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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