I dubbi sull’Irpef e un ceto medio sempre più povero

Lettere al direttore
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Per quel poco che osservo e leggo, mi convinco che la soluzione parziale a diversi problemi sociali potrebbe esse un ritorno alla prima Irpef, quella degli anni ’70. Le aliquote erano molte e superavano il 70% per i grandi ricchi; ora oltre i 50.000 euro si paga solo un misero 43%. Praticamente in 50 anni le aliquote per i ricchi sono state ridotte del 30%, 20%, 10% in base al reddito; per il ceto medio e basso si è praticato «il gioco del piglia per fesso»: abbasso questa aliquota e ti riduco questa detrazione con calcoli incredibili e risultato sostanzialmente uguale a zero.
Giuseppe Di Bella
Roncadelle

Caro Giuseppe,

per replicare nel dettaglio ai suoi rendiconti occorrerebbe un foglio di calcolo largo un metro. Lo spazio del giornale è assai meno, sufficiente però a risponderle evitando di girarci troppo attorno.

Allora, è vero che rispetto a cinquant’anni fa oggi si paga di meno a partire da circa 500mila euro (in termini assoluti ciò incide in minori entrate per circa l’1% del totale) ma affermare che l’Irpef - l’imposta sulle persone fisiche - era più progressiva e redistributiva negli anni Settanta rispetto ad oggi è falso. Dati alla mano, l’aliquota media (cioè il rapporto tra imposta e reddito) è diminuita per il 20% più povero delle famiglie, mentre è aumentata molto per tutte le altre, compreso il 10% più ricco.

Come scrive l’economista Massimo Baldini: «L’Irpef ha tanti problemi, non quello della scarsa equità verticale formale. Due temi invece sono molto urgenti: la scarsa equità orizzontale, cioè il diverso trattamento di redditi simili, e il forte carico sulle classi medie».

Ed è questo il nocciolo amaro, che ha reso - quello sì - bloccata di fatto negli ultimi cinquant’anni la nostra società occidentale, con i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri e una classe media sempre più sottile nel mezzo. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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