Gussago, Centro pilota regionale
Immaginate di disimparare come si cammina. Prima lo facevate naturalmente e poi avete dimenticato come si fa. Osservate la gente intorno a voi e cercate esempi da imitare, spunti deambulanti. Ma per gli altri camminare è un gesto spontaneo, mentre voi dovete studiare ogni passo. Mangiare è esattamente così per le persone affette da un disturbo del comportamento alimentare (DCA). Anoressia, bulimia e binge sono di solito associate al mito del corpo scarnificato dai digiuni o deformato dalle abbuffate, al gesto del vomito autoindotto o alle colpe della moda e dei media. Resta invece nell'ombra un punto cruciale: la vita con un DCA si trasforma in un inferno. Individuale e sociale. Paradossalmente quella che viene considerata una patologia narcisistica, figlia della società dei consumi, si rivela invece puro odio verso se stessi. La mente giudica, controlla e punisce il corpo. Una parte della persona lotta per vivere, l'altra per morire. In tutto questo, il mondo esterno si fa sempre più distante e non tanto per i pregiudizi della gente, quanto perché è difficile essere amati se per primi non ci si ama. E d'altro canto è dura per chi non ne è affetto capire i mille ostacoli che costellano la vita di un malato di DCA: in un mondo dove le occasioni per stare insieme sono per lo più legate al cibo, è inevitabile che la socialità divenga un grandissimo problema. Molti amici si allontanano, i colleghi guardano con sospetto, la famiglia è esasperata. Si rischia di rimanere soli, oltre che malati. Brescia ha la fortuna di poter vantare il Centro pilota regionale per la cura dei disturbi alimentari. Si tratta del CDCA di Gussago, fondato dal Prof. Fausto Manara e ora diretto dal Dr. Mario Lombardi. La struttura prevede tre tipi di percorsi: ambulatoriale, in regime di day-hospital e in degenza completa. L'approccio è multidisciplinare: un'équipe costituita da psichiatri, psicologi, dietiste e medici internisti segue le pazienti nei vari aspetti in cui si manifesta la malattia. I percorsi terapeutici sono piuttosto lunghi: si va da un minimo di 3 mesi fin'anche a più di 6 mesi. Ma non potrebbe essere altrimenti, in quanto non sono solo le condizioni fisiche a dover essere ristabilite, bensì anche quelle psicologiche. Soltanto maturando una solida autostima sarà possibile riacquistare un rapporto sano con il cibo e quindi evitare ricadute. E questo processo necessita periodi dilatati, perché mente e corpo non sempre vanno di pari passo. Il CDCA ha ridato vita e speranza a centinaia di persone che vi sono approdate da tutta Italia. Nelle scorse settimane, purtroppo, abbiamo temuto che le cose potessero cambiare. Ci erano infatti giunte notizie sull'intenzione degli Spedali Civili di ridurre il numero degli psichiatri, degli psicoterapeuti, delle dietiste e delle interniste in servizio nel centro, a favore di ricoveri e percorsi più brevi per i pazienti: cosa che avrebbe certamente compromesso quel perfetto connubio fra terapia psicodinamica e approccio cognitivo-comportamentale che è stato la formula vincente del centro in tutti questi anni. Ci siamo allora mobilitate, cercando di sensibilizzare attraverso diversi canali di comunicazione il maggior numero di persone possibili su questo problema. Facebook, e.mail, articoli e interviste: tutto ci è sembrato utile, anche una raccolta firme in rete dal titolo «DCAmo NO ai tagli che tagliano la vita». Ci siamo trovate quasi in 150 pazienti ed ex pazienti del centro a muovere ogni canale possibile, condividendo ansie, preoccupazioni e speranze. I nostri sforzi, forse, hanno avuto soddisfazione. Nei giorni scorsi dagli Spedali Civili sono giunti segnali positivi, con la prospettiva di non modificare l'attuale assetto del centro e di ampliarlo anzi a pazienti affetti da DCA in situazioni gravi, tali da non consentire il percorso standard: cosa che porterebbe in realtà ad un incremento del personale addetto. Sono promesse sulle quali contiamo e per le quali seguiteremo a lottare: per continuare a dare un aiuto a chi è affetto da disturbi del comportamento alimentare. Per dare loro un paio di stampelle, per sorreggerli mentre affrontano i primi passi. Per applaudire quando tornano a camminare con le proprie gambe e per sorridere, infine, vedendoli correre verso la libertà.
Pazienti ed ex pazienti del CDCA di Gussago
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