Giovani, emergenza dimenticata di Alessandro Carboni

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In origine siamo stati «bamboccioni», quelli che faticavano a mollare la presa dalla gonna della mamma. Poi ci siamo trasformati nei «choosy» schizzinosi dell'ex ministro Fornero, incapaci di accontentarsi, in tempi non certo facili, di quel che passava il convento. Recentemente siamo diventati inoccupabili, secondo Giovannini i meno qualificati sul mercato europeo. Di etichette e giudizi categorici, oggi però i giovani italiani non vogliono proprio sentir parlare. Soprattutto se calati dall'alto, da una politica ingessata, bloccata da crisi e distorsioni interne sempre più evidenti, che fatica a operare in termini pratici. Oggi ragazzi e ragazze, studenti, laureati, diplomati, operai, liberi professionisti e disoccupati sono sostanzialmente stanchi. Stanchi di sentirsi fregati. Un'impressione diffusa che diventa qualcosa di più di un semplice presentimento, in particolare tra coloro che aspettano di varcare la soglia dei trent'anni, protagonisti del domani più imminente del nostro Paese: la generazione dei laureati costretti nel 2013 a omettere nei curriculum i titoli di studio per firmare un contratto; la generazione degli stagisti sottopagati; candidati ai quali, sugli annunci e durante i colloqui, vengono richiesti tre anni di esperienza maturata nel settore. Un requisito che sfiora il ridicolo in un periodo nero per l'occupazione giovanile. Il nostro problema, insomma, è serio e ha un focus preciso: il lavoro, inteso come fonte di reddito e spazio nel quale esprimersi, realizzarsi, unico fattore che ci permetterà di camminare da soli. Ma i numeri sono spietati e ci dicono che è impossibile accumulare, risparmiare, fare le formichine. Alla soglia degli «enta» è preoccupante. Si cerca lavoro qua e là, con il sogno di una carriera sempre pronto nel cassetto, con la solida convinzione che ogni sforzo diventerà competenza. Altro che choosy. Il mito anacronistico dell'indeterminato l'abbiamo già vinto e superato. Ci si rimbocca le maniche per guardare avanti, si tirano fuori idee, ci si mette in discussione, ci si mette in proprio, si costruisce, si rischia.C'è invece chi decide di partire. Il grande esodo di coloro che con rammarico abbandonano casa, famiglia e amici: scappano i medici nelle cliniche all'estero; fuggono gli ingegneri verso Usa e Germania; gli architetti e i designer volano in Cina per contaminarsi e rubare idee. In Italia, spiega qualcuno, mancano le possibilità ma non la voglia di fare. Sono in molti ad aver già la valigia pronta. Ecco perché un passo in più adesso lo deve compiere la politica, mettendo i giovani al centro del proprio lavoro. Con strumenti inediti, pensati ad hoc. Ad essa spetta la responsabilità riformatrice, insieme alle aziende, agli imprenditori che devono saper investire sulle nuove competenze. Poco, magari, ma bene. Fare scuola, insegnare il mestiere. Abbiamo bisogno di risorse e maestri per far crescere il Paese.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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