Genitori insieme in associazione per i figli disabili
Perché siamo genitori di un disabile? L’associazione aiuta. Ho trovato questa frase per caso, mi ha colpito subito e nella sua semplicità racchiude una grande verità. Diventare genitori è una cosa bellissima e per una donna che diventa mamma ancor di più. Ti immagini come possa essere quel bambino che ti porti dentro, fai tanti sogni e non vedi l’ora di vederlo. Poi tuo figlio nasce e non è come tutti gli altri, è disabile. È come una doccia gelata dalla quale è difficile riprendersi e c’è anche chi purtroppo non si riprende e non vuole accettare la triste verità. Quando si scopre la disabilità del figlio ci si mette un po’ a capire, ad accettare, è durissima e non so da dove viene quella forza per aiutarlo e dargli tutto ciò di cui avrà bisogno. Tutt’intorno si fa il vuoto si rimane soli senza un appoggio, nemmeno dalle persone vicine perché anche loro si sentono incerte su come accostarsi alla nuova famiglia mentre invece in quei momenti, si ha tanto bisogno di avere qualcuno che ti possa dare un consiglio o semplicemente starti vicino. Ecco perché far parte di un’Associazione che si occupa di disabilità aiuta. Ci si sente capiti perché si trovano delle persone che vivono le stesse paure, le stesse ansie, che vivono la stessa situazione. Fa bene parlare fa bene ascoltare, da ogni storia si impara qualcosa ognuno di noi ha una realtà diversa, ognuno di noi ha avuto modo di reagire a delle difficoltà, esperienze messe a disposizione di tutti. Non è facile essere genitori, ma non lo è soprattutto per genitori con un figlio disabile. Ma non è per questo che dobbiamo sentirci dei genitori delusi, anche se una parte della società fa di tutto per farti sentire tale. Noi abbiamo l’obbligo di difenderli e non è colpa loro ne nostra se sono nati così, perché per noi sono e rimarranno per sempre doni di Dio e ti aprono gli occhi e la mente a ciò che Lui ci ha insegnato.
// Luciano BinosiPresidente dell'Ass. «Il Sorriso» di Calvisano
Gentile Luciano, ho conosciuto da vicino, nella famiglia d’origine, la situazione di cui parla: l’essere genitori di un figlio disabile, le angosce (e i sensi di colpa) che l’accompagnano, le fatiche della dedizione... mentre specularmente percepivo le incertezze delle persone vicine nell’accostare un’esperienza dura sotto il profilo emotivo e pratico come lo è questa. Eppure ho anche visto quanto siano stati importanti il non essere lasciati o trovarsi soli, il poter «condividere» non solo del tempo e del conforto, ma anche i modi con cui affrontare o superare le difficoltà del vivere quotidiano... In generale, c’è una responsabilità genitoriale diretta e ce n’è un’altra, indiretta e di forma diversa, che dovrebbe far capo al gruppo sociale in cui la famiglia si inserisce, per far sì che un figlio (soprattutto quando disabile) sia sentito non come esclusivo «figlio di», ma come «uno di noi». Se le associazioni riescono a creare ed alimentare questa percezione, coinvolgendo le persone, meritano la più ampia gratitudine non solo di chi beneficia della loro generosità e solidarietà, ma di tutti. Perché aiutano a far crescere al tempo stesso i figli disabili e la convivenza civile in un territorio. (g.c.)
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