Fuga o esilio. La storia di Craxi divide (e insegna)

Scrivo in relazione all’articolo del giornale del 15 aprile, laddove si racconta della presentazione da parte di Stefania Craxi del proprio libro sostanzialmente dedicato al padre Bettino. In questo contesto si parla dell’esilio di Hammamet, si parla dell’impossibilità dell’uomo di farsi curare in Italia da uomo libero. Le mie considerazioni non vogliono avere alcun connotato politico né mettere in dubbio le qualità di statista del politico Craxi. Voglio solo ricordare e l’articolo non lo fa, che esule è chi fugge a causa dell’esplicito impedimento a far ritorno alla propria abitazione (nel nostro caso Bettino Craxi poteva tranquillamente far ritorno in Italia per accomodarsi in carcere e lì farsi curare). Craxi fuggì all’estero in seguito a due condanne definitive per corruzione e per finanziamento illecito al Partito Socialista italiano. Faccio fatica a collocare tutto ciò «nella parte positiva della storia del Paese». Ma come al solito vale il ragionamento che se la giustizia condanna un derelitto tutto bene, ma se condanna un potente apriti o cielo. Alla faccia della continua delegittimazione della Magistratura.
Ferruccio GaspariniCaro Ferruccio, è una questione assai dibattuta, quella che pone, per la quale non ci distingueremo in originalità. Nel merito, facendo una sintesi della sintesi, scriveremmo questo: la differenza tra fuga volontaria ed esilio obbligato sta non tanto nelle proprie opinioni, quanto dal Paese in cui si vive. Per cui diamo ragione a lei: certo non «tranquillamente», ma Craxi avrebbe potuto comunque rimanere o fare in Italia, accettando i limiti ma pure le opportunità che uno Stato di diritto qual è il nostro prevede. Sarebbe stata lunga? Certamente. Avrebbe avuto occasione di stare in vita abbastanza a lungo da rispondere dei propri torti e far valere le proprie ragioni? Non lo sappiamo. Qui però si entrerebbe nel ginepraio della storia fatta con i se e i ma, un esercizio che non ci appassiona, né ci appartiene. Semmai, della sua lettera, caro Ferruccio, vogliamo sottolineare la pacatezza, l’assenza di toni da tribuno o di piglio alla Robespierre. Lo apprezziamo poiché soltanto così riusciremo a capire ciò che è successo e formarci un giudizio sereno. In tutte le vicende, non soltanto in quella di Craxi. (g. bar.)
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