Energia nucleare I pro e contro di un dibattito serio

Lettere al direttore
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C

hiedo spazio per qualche commento alle sorprendenti parole di Luca Romano. Egli sostiene che il 50% degli italiani siano possibilisti riguardo alla ripresa dell’energia nucleare in Italia. Ma la percentuale che interesserebbe di più è quella relativa agli italiani disposti ad accogliere una centrale, o un deposito scorie, nel loro territorio, e allora vedremmo percentuali da prefisso telefonico, e nemmeno lo 030 di Brescia... La cosiddetta sindrome «Nimby» (Not In My Back Yard, non nel mio cortile), che se blocca in moltissimi casi anche l’installazione di innocue turbine eoliche al largo delle coste italiane, solo per l’impatto visivo dalla costa lontana molti chilometri, figuriamoci una centrale atomica nelle campagne padane, o in qualche valle laziale, o in Sicilia e Sardegna. Le centrali atomiche ormai si possono costruire solo dove sono presenti regimi autoritari, Corea, Cina, Russia, più qualche timido tentativo, in molti casi abortito dopo qualche anno, in Paesi democratici, dove i territori hanno qualche voce in capitolo

Le pochissime centrali realizzate in Europa, come quella di Olkiluoto, in Finlandia, per essere terminate hanno quadruplicato i costi del budget iniziale, e triplicato i tempi, per numerose liti sul tema sicurezza tra l’ente finlandese per la sicurezza nucleare e Areva francese, loro che hanno comportato revisioni del progetto multiple.

Questo in un Paese già nucleare, e noto per una certa efficienza, figuriamoci in Italia. Gli impianti nucleari hanno bisogno di enormi quantità d’acqua dolce per il raffreddamento, altrimenti si spengono. In Francia l’abbondanza di grandi fiumi non ha impedito anche l’anno scorso lo stop di alcune centrali per la siccità. Noi in Italia dove andiamo a prendere l’acqua d’estate, quando maggiore è il consumo di elettricità?

Invece di perdere tempo a discutere di progetti di fatto impossibili, giusto per spendere qualche centinaio di milioni di euro in studi di fattibilità che poi saranno stracciati (più o meno come il Ponte di Messina, temo), non sarebbe più logico spendere soldi per fare ciò che è fattibile e concreto oggi?

Ci sono da coprire km quadrati di tetti pubblici e privati con pannelli, dei quali una programmazione seria potrebbe anche rilanciare la produzione in Italia; ci sono da realizzare decine di parchi eolici galleggianti.

Insomma, presentare il nucleare senza problemi serve solo per far guadagnare qualche società di engineering con progetti farlocchi, un’operazione che in uno stato come l’Italia non andrebbe fatta.
Luca Salvi

C

aro Luca,

abbiamo atteso qualche tempo prima di pubblicare la sua lettera, ci siamo decisi oggi, dopo aver letto giovedì scorso sul nostro Giornale l’articolata intervista al professor Giuseppe Zollino.

Il dibattito su questo tema è più instabile di un isotopo radioattivo e le perplessità che lei elenca sono comprensibili, a cominciare dal fatto che nessuno vuole avere centrali o scorie «nel proprio giardino», tuttavia la produzione di energia a costi accettabili è una sfida decisiva per il futuro del nostro Paese: sedersi sempre e solo dalla parte del «no» è un modo per ignorare il problema, non per risolverlo. Partiamo dunque da questo dato di fatto: già adesso compriamo elettricità da chi la produce utilizzando centrali nucleari. E concludiamo con quest’altro elemento certo: contrapporre al nucleare gli impianti solari o eolici significa illudere che possa esserci partita, mentre parliamo di scale completamente diverse (sarebbe come chiedere ad un autotrasportatore di barattare il suo furgoncino per un monopattino).

Nel mezzo c’è lo spazio del dibattito, che a differenza dell’uranio, non può essere «impoverito». Tornare a parlarne seriamente, a quarant’anni dal referendum, è auspicabile, oltre che giusto. Ricordando ciò che sosteneva Jorge Luis Borges: «Si discute non per avere ragione, bensì per capire». (g. bar.

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Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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