È sulla (poca) libertà in Ungheria e Polonia il vero scontro Ue

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Interessante l’articolo «Ungheria e Polonia, rimane il veto sulla discussione in atto sul Recovery Fund che all’Italia interessa parecchi. Abbiamo appreso che la trattativa è ferma, sembra per conflitto tra Bruxelles e Polonia e Ungheria sulle «condizionalità» legate alla concessione del credito ai Paesi danneggiati dal Covid. Ma perché - mi domando io - ci devono essere delle «condizioni» per un aiuto urgente agli Stati in difficoltà? Se la condizione è «fate dei buoni piani di impiego dei soldi» come sembra volessero i Paesi «frugali» del Nord, diffidenti verso di noi... va be’ li puoi capire (non usate male denari preziosi: vogliamo veder piani di uso!). Ma qui, perché Polonia e Ungheria si oppongono? (sostenuti da Slovenia). Non ho capito la natura del conflitto. Tutti vogliono che lo Stato di diritto sia mantenuto! Ci mancherebbe, siamo democrazie. Ma, e il sospetto cresce, non è che dietro la facciata si nascondano «strani» diritti un po’ «storti», del tutto secondari ma che qualcuno vuole imporre? Tipo famiglie arcobaleno (rarissime) alla pari con le famiglie (enorme maggioranza) da cui tutti veniamo fino a prova contraria... o insegnamento nelle scuole anche elementari di strampalate teorie sessuali tipo «gender» ovvero associazioni trans ecc. che vadano a manipolare i bambini (non era reato un tempo?) «insegnando strane cose (qualche genitore è già stato condannato in Germania e Inghilterra per essersi opposto, in Italia lo vorrebbero Zan e colleghi). Ma allora benedetti i Paesi dell’Est che vogliono stare liberi da servitù (noi invece ci stiamo precipitando a porgere il collo alla catena, o sbaglio?

// Carlo Terrini
Brescia
Gentile lettore, data l’importanza che il Recovery Fund assumerà per il nostro futuro (di italiani ed europei) e per quello della stessa Unione, intesa come istituzione finalizzata ad una crescente solidarietà tra le nazioni europee, occorre far chiarezza. Anzitutto: il varo del programma Next GenerationEu (di cui il Recovery Fund è parte) è subordinato all’approvazione del bilancio Ue 2012-2027, quello a cui Ungheria e Polonia per ora si oppongono, chiedendo la sospensione delle procedure di infrazione aperte nei loro confronti. E su questo spiace contraddirla, ma il motivo per cui l’Ue ha messo sotto la lente Ungheria (e non è la prima volta) e Polonia non riguarda affatto una presunta mancata legislazione su questioni di gender, quanto il più sostanziale rispetto dello stato di diritto in fatto di libertà di stampa, indipendenza dei giudici e diritti delle minoranze... Cioè alcuni dei pilastri storici e irrinunciabili del settantennale percorso comunitario dell’Europa. In sostanza, a Budapest e a Varsavia oggi non è così scontato che tutti vogliano, come noi, lo stato di diritto per come è definito a livello europeo. Appare perciò del tutto fuorviante evocare il sospetto che l’Ue sia la matrigna che «complotta» per imporre «strani» diritti, con il premier magiaro Orban e il presidente polacco Duda eretti a paladini di un modello di Europa in cui nessuno di tutti gli altri 25 Paesi potrebbero riconoscersi. (g.c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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