Contano le opere o la storia personale Questo il dilemma

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Sono commissario alla maturità e ho letto con interesse le tracce del tema di italiano di oggi. La prima traccia riguarda la analisi di un testo letterario poetico e il testo da analizzare è di Giuseppe Ungaretti. La seconda riguarda la analisi di un testo prosastico di Luigi Pirandello. La primissima cosa che mi è balzata in mente è la seguente: entrambi gli autori sono stati firmatari del Manifesto degli Intellettuali fascisti scritto da Giovanni Gentile e pubblicato il 21 aprile 1925. Siccome pochi giorni dopo, il 1 maggio 1925, Benedetto Croce pubblicò il manifesto degli Intellettuali non fascisti, il Ministero della Istruzione che oggi abbiamo, se avesse uno spirito liberale, avrebbe potuto fare una specie di «par condicio» tra fascisti e non fascisti e scegliere un poeta o un prosatore dal primo gruppo e uno dal secondo gruppo. Infatti tra i firmatari non fascisti poeti potevano essere scelti Eugenio Montale o Sibilla Aleramo. E tra i firmatari non fascisti prosatori potevano essere scelti Aldo Palazzeschi o Matilde Serao (per sei volte candidata al premio Nobel). Come mai entrambi poeta e prosatore sono stati scelti solo tra gli intellettuali fascisti? Lascio a chi mi legge tentare ipotesi di risposta a questa domanda. Io come commissario osservo che nelle due quinte della mia commissione queste due tracce letterarie sono state le più scelte in assoluto tra tutte le tracce che potevano essere scelte... in una quinta addirittura 15 studenti su 19 hanno scritto o su Ungaretti o su Pirandello!
Franco Manni

Caro professore,

scegliamo a malavoglia questo argomento, poiché oltre ad essere spinoso è pure scivoloso e qualsiasi sia la risposta, gira che ti rigira, sappiamo finirà con l’indignare qualcuno e lo scontentare quasi tutti gli altri. Dovere ci impone tuttavia di non esser pavidi né pusillanimi, perciò diciamo che sì, potevano scegliere «uno di qua e uno di là», ma sarebbe stata una foglia di fico, aliena dal quesito più importante, di fondo, che è questo: l’artista si giudica dalle sue opere oppure dalla persona che è stata?

«Tertium non datur», direbbero i latini. Se conta l’artista, ciò che ha prodotto, allora vale tutto e non c’è bilancino che tenga. Se invece si deve tener conto della persona ch’è stata, allora ci si infila in un ginepraio vasto e insidioso, poiché il giudizio etico varia dal contesto, dal tempo, dall’indulgenza o dalla severità che ciascuno di noi, per la propria sensibilità culturale, adotta, condivide.

Ecco perché la riteniamo una scelta opinabile, ma non scandalosa. E crediamo sia un giudizio in linea con lo «spirito liberale» che lei per primo invoca. (g. bar.)

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