Come evolve una città? Discutiamone
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Lettere al direttore
AA
In occasione del pensionamento dell’architetto Luca Rinaldi per molti anni alla guida della soprintendenza dei beni culturali di Brescia, si sono giustamente moltiplicate le interviste all’ex sovraintendente che più volte, sollecitato dai vari giornalisti, ha ricordato quanto fatto in tutti questi anni. Curiosamente l’architetto si è spesso soffermato, a mio avviso con una certa soddisfazione, su quanto non fatto o non permesso. Rinaldi infatti, pare rivendicare con granitica coerenza il merito dell’aver impedito quelli che a suo dire parevano essere interventi irrispettosi della norma, del buon gusto e del garbo istituzionale. Senza voler entrare nello specifico delle scelte fatte, nessuno ha voluto porre alcune domande banali, ormai classiche nel mondo dell’architettura e dell’urbanistica, che paiono però avere risposta mai chiara da parte degli addetti ai lavori. Umilmente mi permetto di farlo nelle prossime righe. Come evolve architettonicamente una città nel 2025? Tutte le città dotate di un centro storico sono condannate ad un’eterna cristallizzazione del patrimonio presente all’interno di un determinato perimetro? Le città per come le conosciamo oggi sono il frutto di infinite modifiche che in molti casi ne hanno stravolto ripetutamente l’impianto urbanistico, questo ben prima della nascita dei tanto temuti Pgt. Per quale motivo quindi l’impianto attuale del centro storico dovrebbe essere l’ultimo? La struttura urbanistica di una città è un bene indisponibile e non modificabile? O forse deve rispecchiare la società che in quel momento storico la vive? I palazzi del centro storico non rappresentano forse anche la storia di chi li ha voluti, abitati, modificati? Per quale arcano motivo l’attuale proprietario di una dimora nata nel 1500 non dovrebbe più godere del diritto di intervenire per lasciare metaforicamente incisa la propria firma nei muri che ha abitato? Risiedere in via Carlo Cattaneo trasforma de facto i proprietari in inquilini della Sovraintendenza? Chi ha il diritto di imbalsamare un edificio o una città? Estremizzando, visto che ci si accapiglia anche solo per una stele in piazza Vittoria, sarebbe per assurdo ipotizzabile nel 2025 l’edificazione di un mini Centre Pompidou, all’interno di piazza Tebaldo Brusato? Permettetemi infine un’amara chiosa che è corollario di quanto espresso in precedenza; vi è uno squilibrio agghiacciante tra quanto è permesso fare nelle periferie, senza che nessuno intervenga (capannoni orrendi, centri commerciali/direzionali che ricordano la peggiore Germania Est) e l’approccio intransigente ai limiti della vessazione che caratterizza tutto quanto è contenuto all’interno delle mura venete. Vi è a Brescia lo spazio per un dibattito serio sull’architettura e l’urbanistica che metta a confronto le diverse anime alla ricerca di un giusto equilibrio tra un glorioso passato da tutelare ed un altrettanto meraviglioso futuro da costruire e governare? Immagino che molti di noi amino visitare i musei, ma quanti ci vivrebbero volentieri per tutta la vita?
Francesco Venturi
Brescia
Caro Francesco,
per alimentare il dibattito a cui lei dà scintilla, a Brescia lo spazio c’è, deve esserci, e se non c’è troviamolo! A costo di usare una ruspa.
Una città degna di tal nome non può limitarsi a seguire un’onda, deve pure indirizzarla, possibilmente dopo averla soppesata, ragionata, discussa. Da parte nostra sottolineiamo che nulla può essere scontato, che i bordi non sono mai netti quando si ha a che fare con le cose della vita. E l’architettura, l’urbanistica, ne fanno parte, essendo materia «viva». In più, aggiungiamo soltanto una postilla, un desiderio figlio della sensibilità maturata in questi anni, a tutela degli spazi liberi che restano, affinché non venga consumato nuovo suolo e si badi invece a riqualificare ciò che c’è. Magari avendo il coraggio di abbattere qualche obbrobrio, per ridare a zone ora grigie luce ed aria. (g. bar.)
Francesco Venturi
Brescia
Caro Francesco,
per alimentare il dibattito a cui lei dà scintilla, a Brescia lo spazio c’è, deve esserci, e se non c’è troviamolo! A costo di usare una ruspa.
Una città degna di tal nome non può limitarsi a seguire un’onda, deve pure indirizzarla, possibilmente dopo averla soppesata, ragionata, discussa. Da parte nostra sottolineiamo che nulla può essere scontato, che i bordi non sono mai netti quando si ha a che fare con le cose della vita. E l’architettura, l’urbanistica, ne fanno parte, essendo materia «viva». In più, aggiungiamo soltanto una postilla, un desiderio figlio della sensibilità maturata in questi anni, a tutela degli spazi liberi che restano, affinché non venga consumato nuovo suolo e si badi invece a riqualificare ciò che c’è. Magari avendo il coraggio di abbattere qualche obbrobrio, per ridare a zone ora grigie luce ed aria. (g. bar.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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