Combattere le disuguaglianze Sì, ma come?

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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La fotografia che ci consegna il rapporto Oxfam 2025 è impietosa e mette sotto accusa indirizzi politici che, negli ultimi decenni, hanno prodotto distorsioni nella distribuzione delle ricchezze. La sezione italiana del rapporto - non a caso intitolata «Disuguitalia» - ci offre una spietata rappresentazione della polarizzazione socioeconomica in atto nel nostro Paese: nel 2024 mentre 71 miliardari guadagnavano 166 milioni di euro al giorno, 2,2 milioni di famiglie - cioè 5,7 milioni di persone - vivevano in povertà assoluta. Un divario impressionante e in rapida crescita, al punto che oggi il 5% più ricco della popolazione detiene il 47,7% della ricchezza nazionale. Come si evince dal rapporto, l’acuirsi delle diseguaglianze è generato da un sistema economico e sociale poco dinamico e iniquo che, anche attraverso una strumentale esaltazione della meritocrazia, subdolamente finge di ignorare che la concentrazione di redditi e patrimoni raramente è ascrivibile a capacità individuali, ma è piuttosto riconducibile a lasciti ereditari, all’economia sommersa, a rendite di posizione o a ruoli spesso occupati senza merito dai soggetti che ne beneficiano. Sarebbe bello vincesse il migliore, a patto però che la gara fosse uguale per tutti e tutte. Ma non è così. Di lotta alle diseguaglianze avranno senz’altro parlato al teatro Der Mast coloro che hanno risposto all’appello: «Qualcosa di sinistra». Un appuntamento - ho letto - molto partecipato; segno dell’urgenza di ricostruire un pensiero comprensibile ed efficace che intercetti «i bisogni di chi ha bisogno» ed inizi a proporre soluzioni volte a migliorare le condizioni materiali di vita delle persone. Un obiettivo che può essere raggiunto solo a condizione che ad un certo punto si smetta di parlarsi autoreferenzialmente per capirsi (o, peggio, per contarsi) e si inizi ad ascoltare per capire. Mi chiedo, ad esempio, se qualcuno da quel palco abbia avuto il coraggio di dire - guardando alla Provincia ormai da troppo tempo in stallo - che «qualcosa di sinistra» significa in primo luogo non fare accordi con la destra (rectius con questa destra). Anche per non insinuare il dubbio che si sia ridotta la politica a mero tatticismo, asservendola ad esigenze di carriera e piegandola a miseri tornaconti personali. Se fosse toccato a me intervenire, credo sarei partita proprio da qui.
Francesca Parmigiani

Cara Francesca,

non ce ne voglia se ci troviamo a condividere appieno la diagnosi, essendo in totale disaccordo sulla terapia.

La sua analisi infatti ci convince: il divario tra i sempre più ricchi e i molti più poveri è davvero «impressionante», con i dati che confermano un’impermeabilità di classe mai così accentuata (chi parte dal basso riesce raramente a scalare posizioni, mentre il 5% della popolazione che detiene patrimoni già elevati li conserva e aumenta a dismisura).

È su come uscirne che invece divergiamo. Lei infatti propone di spostarsi ancora più a sinistra, non «mischiandosi» neppure in contesti locali con i partiti attualmente al governo. Noi invece siamo convinti che in un mondo in perenne agitazione e con gli estremismi che raccolgono un ampio consenso, la lotta alle diseguaglianze può essere vinta soltanto da una nuova alleanza, composta da chi accetta - a destra come a sinistra - i valori democratici e difende gli interessi della vera maggioranza, cioè la classe media. Un’intesa non facile, lo ammettiamo, ma necessaria per chi ha a cuore la soluzione del problema e non la vanità di sentirsi dalla parte giusta. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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