Campione olimpico condannato Vicenda dolorosa

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Non vi sarà apparso vero di «sbattere in prima pagina» un personaggio dal calibro sportivo di Andrea Cassarà. Una vicenda, avrete pensato, di grande impatto e sicuro effetto. Com’è noto nella prima pagina del giornale del 19/02/2025 campeggia una grande fotografia che raffigura uno schermidore accasciato cui fa riferimento l’articolo dedicato ad Andrea Cassarà ed alla sua condanna. Un’immagine assai efficace che avrebbe dovuto aprire la strada al racconto di chissà quale avvenimento, non ultima la fine del mondo. Invece, sorprendentemente, passando alla pagina 11 (dedicata per la metà (sic!) al caso in questione unita a un’altra gigantografia inutile), si rivela (udite udite) un fatto tutto da dimostrare. Almeno questo par di capire leggendo il testo annesso. Non un documento, non un riscontro digitale, non una prova, ma solo le dichiarazioni della ragazza, cui va la mia solidarietà, oggetto pare, di attenzioni configurabili come reato non facilmente comprensibile per la gente comune. Tutto così evanescente (secondo la versione della difesa pare che l’accusato ripreso dalle videocamere di sorveglianza si aggirasse nei pressi delle docce in cerca di un bagno) da indurre l’accusa a modificare il reato originariamente inserito in istruttoria, forse per mantenerne vivo l’impianto complessivo, riducendone di gran lunga il «peso» giudiziario. Ora, con buona pace della redazione che per i modi e per l’enfasi adottata, sembrano indulgere al sensazionalismo ed alla spettacolarità senza ragione alcuna, se non quella di raccattare qualche lettore in più, rimango in serena attesa delle motivazioni del giudice che, spero, chiarisca all’inclita e alla plebe come si possa condannare un cittadino che si aggira, ripeto, e salvo prova contraria, nelle stanze adiacenti alle docce in cerca di un bagno e che non è stato visto né dall’accusatrice, né dalle videocamere stesse né da nessun altro, a compiere il reato.
Roberto Tedoldi
Capriano del Colle

No, caro Roberto,

nessuna soddisfazione, né smania di «sbattere in prima pagina» alcuno, in una vicenda sgradevole e dolorosa per chi la vive. Il nostro mestiere è questo, dare notizie. E nel caso in questione non era una chiacchiera, una supposizione, la fase di un’indagine e neppure, come scrive lei, «un fatto da dimostrare», bensì una condanna a un anno e quattro mesi per un campione olimpico, che dalla stampa ha ricevuto molto e che proprio per questo sa che ogni aspetto che lo riguarda desta attenzione.

Comprendiamo che poi ciascuno, come cittadino, possa avere una propria opinione, ciò non toglie che esiste una sentenza, per la quale dovranno essere fornite motivazioni e che a quella ci si debba attenere. Così come, per fortuna, vivendo in un Paese che nonostante le molte contraddizioni, resta civile, chi è condannato in primo grado potrà appellarsi in almeno altri due. E nel caso la condanna verrà ribaltata - è una promessa formale - daremo alla notizia la stessa identica evidenza, come deve avvenire per chiunque e non soltanto per un campione sportivo o personaggio illustre. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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