Bimbi che piangono e clienti impazienti Occorre sensibilità

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Il pomeriggio dell’11 novembre mi sono fermata a far merenda con mio marito e i nostri due bambini di 8 e 5 anni in una pasticceria di Brescia città. La pasticceria era piena di persone, c’era un allegro vociare, musica di sottofondo e via vai di ospiti adulti e bambini.

I miei figli si sono goduti la merenda seduti al tavolo tranquilli. Nell’uscire il più piccolo di 5 anni ha avuto una piccola crisi di pianto perché non riusciva ad infilarsi il giubbino, conoscendo le sue modalità di disinnescamento della rabbia l’ho condotto appena fuori dall’area tavolini per lasciarlo provare ad allacciarsi da solo. Il tutto sarà durato forse 2 minuti. Nel locale c’era anche della musica e nessuno si è voltato. Una signora, invece, si è alzata dal suo tavolo per venire a dirmi davanti ai bambini che avrei dovuto allontanarmi perché il bambino stava disturbando. Io sono rimasta attonita e le ho chiesto se davvero mi stava dicendo che il «pianto» del bambino la stava disturbando e che avrei dovuto andarmene, lei ha detto di sì. Dallo stupore non sono neanche riuscita a risponderle. Preciso che siamo una famiglia sempre rispettosa degli altri, in tanti anni non era mai successo di essere ripresi per il comportamento dei bambini e che quella non era certo la crisi più grossa che mi era capitato di fronteggiare in pubblico e che ho sempre fatto di tutto per disturbare il meno possibile le persone.

Mio marito, incredulo, ha chiesto spiegazioni mentre io portavo fuori il bambino e la signora ha ribadito che piangeva da 20 minuti (cosa assolutamente falsa) e che i bambini dovrebbero stare a casa loro se disturbano.

Io trovo questa intolleranza inammissibile. Capisco se veramente avesse disturbato per tutto il tempo, probabilmente mi sarei scusata io stessa per prima con tutti. Ma i due minuti di vestizione mentre stiamo uscendo penso possano rientrare in una finestra di tolleranza che debba avere chi frequenta un locale pieno di persone, locale al quale per fortuna ancora non è vietato l’accesso ai bambini.

Il mio bimbo oltretutto è un bambino autistico ma ciò lo dico non per guadagnare il favore di chi legge perché qualsiasi bimbo avrebbe potuto avere una crisi così, tutti i bambini sono speciali e diversi a loro modo, non sono belle statuine e imparano con gli anni e un po’ di pazienza a gestire le loro emozioni. Mi verrebbe da dire che chi si spazientisce tanto per un piccolo pianto forse dovrebbe essere il primo a valutare di starsene a casa sua, indisturbato.
Lettera firmata

Carissima,

esattamente una settimana fa, su queste colonne, elogiavamo la capacità di sorridere e come sia bello trovarla soprattutto nelle persone al bar, in pasticceria anche, luoghi di socialità informale e diffusa, che trasformano il poco in tanto.

Oggi, quasi per contrappasso, pubblichiamo due lettere - la sua e quella successiva - che invece dei pubblici esercizi raccontano un’esperienza negativa. Entrambi i casi riconducono a un problema unico: la difficoltà nel gestire ciò che non è ovattato, ordinato, silenzioso, pulito... («immune», ci verrebbe da scrivere, che non a caso significa «privo di dono»).

Vale per i bambini, verso i quali abbiamo ai poli opposti: un atteggiamento eccessivamente tollerante e protettivo oppure, come nel caso degli avventori che si sono lagnati, una soglia di sopportazione molto bassa (è come se, vedendone in giro sempre meno, non riuscissimo più a conservare equilibrio).

Altrettanto vale per chi ha una disabilità, fisica o ancor peggio psichica, poiché il disagio e il disturbo spiazzano e destabilizzano, costringendo a un surplus di attenzione e a una sensibilità che dovremmo coltivare tutti se vogliamo vivere in un mondo migliore e non in un deserto. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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