Ancora sul pane Per ricordare come cambia il mondo

Lettere al direttore
Lettere al direttore
AA
Nella risposta alla lettera del signor Faustino Bono, pubblicata lunedì scorso, ha richiamato un rimprovero che, in toni più o meno morbidi, penso risuonasse in molte cucine di noi ex bambini cresciuti nell’era del boom economico: «E il pane?». Tuttavia, probabilmente anche a lei, sarà stato fatto pure il richiamo opposto. Se infatti ci si presentava a tavola un attimo prima che la mamma scodellasse la pastasciutta (allora non c’erano dietologi e nutrizionisti che si stracciassero le vesti per l’abbinata dei carboidrati...) e ci si avventava sul pane, potevano essere tuoni, fulmini e saette. Ma il suo scritto mi ha anche ricordato un racconto di mio zio, relativo ai tempi in cui davvero la fame era fame. Chiamato a fare il testimone in un matrimonio contadino, mi «incantava» con la memoria del tenero rimbrotto del padre della sposa alla figliola. «Heelgia, laa sta el pa’ e maia la caren». La povera Cecilia presumibilmente già riteneva un cibo divino il pane bianco, che doveva aver visto assai poco, così da buttarvisi sopra. Ed il padre invece, più saggio, la invitava a cibarsi di un alimento, la carne, che magari non avrebbe visto più. Ogni considerazione in merito alle differenze con lo stile di vita del giorno d’oggi sarebbe pleonastica e la lascio ai lettori. Mi consenta di ringraziarla ancora per il ricordo che mi ha rinnovato.
Paolo Zanetti
Brescia

Certo che sì, caro Paolo, il richiamo opposto c’era eccome. E se ci si azzardava a toccare il pane prima che si iniziasse il pranzo o la cena eran dolori. Mai comunque quanto quelli provati al tempo di suo zio, in cui «la fame era davvero fame». Ed ha ragione anche sul lasciare alle riflessioni di ciascuno le considerazioni in merito alle diverse condizioni di vita, tra oggi e ieri l’altro. Se tuttavia dovessimo scegliere dal mazzo una sola nota, ammetteremmo con sincerità - «pane al pane», ci verrebbe da scrivere - che tante sono le carenze e i problemi al giorno d’oggi, ma passi da giganti abbiamo fatto. Esserne riconoscenti, non scordarlo, è il minimo che possiamo fare, in segno di rispetto nei confronti di chi ci ha preceduto e dei sacrifici che ha fatto. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato