Alla Biennale come Sordi e signora
AA
Vi ricordate il film «Le vacanze intelligenti», con Alberto Sordi e la storica compagna Anna Longhi, quando giunsero a Venezia come semplici coniugi fruttivendoli in visita alla Biennale? Vacanze se non erro suggeritegli dal figlio, tutto moda e avanguardia.Ecco così ci si sente, come Sordi e la simpatica moglie alla Biennale di Venezia di fronte alle opere di questi artisti provenienti da tutto il mondo. Spaesati, incerti, confusi e forse anche un po’ ignoranti. Naturalmente questo riguarda quelli come me, che d’arte sanno ben poco, quelli che capiscono solo ciò che vedono, ciò che toccano, ciò che la nostra mente è in grado di elaborare. Allora ci si avvicina a leggere la descrizioni delle opere, cercando di capircene qualcosa in più, ma nella maggior parte delle volte, si finisce per complicarsi ancora di più il senso. Parole troppo difficili, viaggi psichici incomprensibili, metafore non semplici da capire. Ciò non toglie comunque il fascino misterioso di questo mondo dell’arte, così lontano per noi comuni mortali. Alberi secchi appesi per aria, figure di angeli ritagliati nei libri, materiali edili ammucchiati in grandi edifici, e pensi che forse hai sbagliato locale. Pitture più o meno comprensibili che sono al limite di imbratti. Poi ci sono performance da parte degli artisti, che ce ne vuole per comprenderle. E poi video scioccanti e musica da brivido. Sconvolgenti opere che fanno smuovere profonde emozioni. Come gli Israeliani, che con un viaggio sotterraneo, finiscono per sbucare a Venezia, per creare nella creta portata dalla loro terra, delle sculture a propria immagine, dove inseriscono microfoni, e fanno versi primordiali, tipo zombi o uomini primitivi, il tutto accompagnato da una musica che entra nella mente, provocandoti una sorta di terrore e curiosità. Ti guardi attorno pensando che quelli intorno a te, o tu stesso, protesti diventarlo un domani, per via di qualche evento catastrofico nucleare, o forse per pazzia. Ti viene da pensare sarà il passato, il futuro o il passato che torna? Domanda inquietante, alla quale temo la risposta. Naturalmente non era questo il messaggio che l’artista voleva darci. Poi vedi quelli impegnati che leggono e studiano le opere, e un po’ li invidi, poi ascolti le critiche, naturalmente chi ne capisce poco spara a zero dicendo «potevo farlo anch’io». Ma i bambini come sempre sono i migliori, con espressioni spontanee, e forse sono quelli che la capiscono sul serio, un buco è un buco, un albero è un albero, e una faccia schiacciata non è nient’altro che una faccia schiacciata nel legno. Il viaggio finisce, ne hai viste e sentite di stranezze, come il respiro amplificato degli alberi. E ora chi avrà più il coraggio di avvicinarsi ad un albero per tagliarlo, visto che ho sentito che respira come me. Poi arriva il tramonto sulla bella Venezia. Ti fermi in San Marco e respiri, lì sei nel centro del mondo, lì senti la storia, senti la vita pulsare. I violini ti accompagnano, tra uno svolazzo di piccione, e migliaia di turisti da tutto il mondo. Guardo un’enorme nave trainata a filo della banchigia. Migliaia di turisti sono pronti a sbarcare, e sono lì sui pontili, ammutoliti dallo spettacolo che vedono i loro occhi, così come sono ammutoliti quelli a terra, sbalorditi dalla nave, i quali sono impegnati a immortalare lìevento con un clik. Anche questa è arte? Antico e nuovo, accordo o disaccordo, abitanti che se ne vanno, e turisti che aumentano a vista d’occhio, e soldi, soldi, mucchi di soldi che sbarcano a Venezia. A tal proposito l’ultima opera che ho visto nel padiglione inglese, un tale divenuto gigante, prende una nave da terra, e la scaraventa negli abissi. Metafora; «Moriamo di fame circondati dalle nostre ricchezze» chi a orecchie per intendere...
Alessandro Piotti Ghedi
Alessandro Piotti Ghedi
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Condividi l'articolo
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato