Regali di Natale? Che siano gesti per saziare la voragine d’amore
Ci sono parole che si scrivono senza sapere il perché. Semplicemente arrivano. È quanto è successo a Paola Brighenti che, una mattina, si è svegliata con l’impulso di riscrivere in chiave moderna alcune pagine del Vangelo. Per i dieci giorni successivi la scrittrice si è ritrovata immersa nella sua e nostra «spesso inconsapevole ricerca di infinito, umano, insopprimibile bisogno di amore». D’altronde, scrive nel suo libro «Dalla Parola alle parole» (Arpeggio Libero Edizioni), «anche se i contesti sono così differenti, non sono mutate le esigenze spirituali» e oggi come allora l’essere umano, senza amore, non è niente.
Ecco allora che Paola, nel suo immedesimarsi in «quell’io che era l’interlocutore al quale Dio si rivolgeva» ci fa sentire come il pastore che adora Gesù bambino, Bartimeo il cieco, Zaccheo il peccatore, Maria di Magdala, Tommaso o, nel racconto «Invisibile presenza», i discepoli di Emmaus. È quest’ultima la storia di due fratelli che perdono il padre all’improvviso. «Incrociarono lo sguardo. Per un attimo. E negli occhi smarriti Francesco e Giorgio riconobbero lo stesso acuto dolore, la stessa angosciosa domanda: E adesso? Poi ci furono gli abbracci, le strette di mano dei parenti, degli amici, del personale della ditta. Gesti automatici, perfino sorrisi, tutto compiuto come in sogno, in una recita dal copione già scritto». Nello svolgersi degli eventi che seguono i due ragazzi, come i discepoli di Emmaus, imparano a riconoscere la figura viva del padre comprendendo di averlo cercato nel modo sbagliato; «Lui non era fuori», ma presenza invisibile dentro di loro. «Toccava a loro renderla visibile».
Presto sarà Natale; perché non recuperiamo l’autenticità di quanto stiamo festeggiando leggendo durante il pranzo o la cena, a parenti e amici, un racconto tratto dal libro della Brighenti o un altro testo foriero di riflessione? Va bene pensare agli addobbi e ai manicaretti, la cornice, ma il rischio è di scambiare il contorno del quadro per la tela, con il conseguente vuoto natalizio di fine pasto fatto della consapevolezza di aver riempito sì lo stomaco, anche troppo, ma non certo l’anima. Toccante, per il 25 dicembre, il brano d’esordio «Turno di notte» che narra la diversa Vigilia di una giovane infermiera che accudisce in ospedale un anziano sofferente. «Prendo tra le mani un braccio del vecchio e comincio piano piano, con delicatezza, a massaggiarlo. Faccio lo stesso con l’altro braccio e poi con le gambe. Poco alla volta il gemito si affievolisce, si muta in un respiro quieto, come quello di un bimbo. Sorrido. I miei amici staranno facendo girare i primi cocktail, ma non li invidio. Stanotte, qui, di turno tra questi vecchi sofferenti, veramente vivo il mio Natale. Tra le mani ho Gesù, uno strano, vecchio Gesù Bambino. E lo posso scaldare».
Non è questo che in fondo vorremmo tutti? Non rubicondi pacchettini, ma gesti in grado di saziare la nostra voragine d’amore. Non frasi vacue che ingozzino mente e corpo, ma il tepore avvolgete di un abbraccio sincero. Non sterili messaggi sullo schermo gelido di un cellulare, ma l’autenticità della Parola che, fattasi parole di ogni giorno, ci scaldi il cuore, finalmente.
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