Unione europea, dodici Paesi vogliono un muro anti migranti
Dodici Stati membri (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca) hanno scritto a Bruxelles domandando di finanziare «in via prioritaria» e in «modo adeguato» le barriere fisiche ai confini per impedire all’accesso ai migranti, definite «un'efficace misura di protezione nell'interesse dell'intera Ue» e del funzionamento dell'area Schengen.
Gli ultimi a mettersi all'opera in ordine temporale, a causa degli afflussi dalla Bielorussia, sono stati Lituania e Polonia, ma vari Paesi Ue già possono vantare barriere di filo spinato, dai tempi della grande crisi migratoria del 2015-2016.
Una richiesta di esborso rispedita al mittente dalla commissaria agli Affari interni Ylva Johansson, che dal Consiglio Ue a Lussemburgo, pur accettando l'idea della fortezza Europa («ogni Paese ha diritto a difendere le proprie frontiere come crede, pur nel rispetto dell'acquis europeo»), ha respinto ogni ipotesi di stanziamenti comunitari. «Ci sono già molti altri progetti sul tavolo», ha tagliato corto.
Il fronte a sostegno
L'iniziativa ha trovato invece il sostegno pubblico della presidenza di turno slovena del Consiglio Ue, e in Italia è stata subito cavalcata da Matteo Salvini, in cerca di rimonta dopo la batosta delle amministrative: «Se ben 12 Paesi europei con governi di ogni colore chiedono di bloccare l'immigrazione clandestina, con ogni mezzo necessario, così sia. L'Italia che dice?». Roma a dire il vero si è tenuta ben alla larga dalla proposta dei dodici, preferendo piuttosto sollecitare Bruxelles sulle partnership con i Paesi terzi, in una lettera assieme agli altri componenti del gruppo dei Med5 (Spagna, Malta, Grecia, e Cipro).
I Paesi mediterranei
Servono «ulteriori sforzi in collaborazione con i Paesi di origine e transito su questioni di interesse comune», con «progressi tangibili nei finanziamenti» e una «maggiore concretezza e certezza sul percorso» in tempi brevi, «giorni o settimane», hanno scritto i Paesi della fascia Mediterranea, respingendo anche l'ipotesi di spacchettare il negoziato sul Patto per l'asilo, come proposto dalla presidenza di turno, più attenta agli aspetti della sicurezza che a quelli della solidarietà.
«L'Unione europea deve colmare il ritardo fin qui accumulato, sviluppando, in tempi rapidi e con azioni concrete, gli impegni assunti sul fronte dei partenariati strategici con i principali Paesi del Nord Africa, a partire da Libia e Tunisia», ha insistito la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese, subito rassicurata, o almeno in parte, da Johansson. «I piani d'azione sono quasi tutti pronti», ha spiegato la svedese, ammettendo però che i «fondi comunitari sono limitati». «Non possiamo spendere più soldi di quelli che sono stati stanziati dagli Stati membri», ha avvisato la commissaria, in questi ultimi giorni divisa tra i tentativi di ottenere più impegni dai 27 per i reinsediamenti dei profughi afghani a rischio e le notizie di respingimenti violenti dei profughi ai confini di Grecia e Croazia.
«I report pubblicati su quanto avviene sono scioccanti - ha chiarito Johansson -. Occorre un'indagine, ma quanto riportato sembra indicare un qualche tipo di orchestrazione della violenza alle frontiere esterne, e sembrano esserci prove convincenti di un uso improprio dei fondi europei, che devono essere approfondite». Denunce su cui ora Bruxelles vuole vederci chiaro: ne va della «reputazione dell'Europa».
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