Ritorno da Auschwitz: un pezzo di pane e un sasso sul cuore
Sul treno del ritorno, c’è voglia di stare insieme. Parlare, buttar fuori, condividere. C’è chi smezza un obvarzanek, il tipico anello di pasta di pane di Cracovia ricoperto di semi di papavero. Qualcuno chiude gli occhi e abbandona la testa sulla spalla di un amico.
Sono stanchi i 650 ragazzi di «Un treno per Auschwitz»: tornati ieri pomeriggio, da sabato all’alba hanno fatto su e giù da autobus e treni. Fisicamente provati, ma soprattutto nel cuore. Un nuovo peso, non solo simbolico, lo portano in tasca: un piccolo sasso bianco con la scritta «Belzec», il campo di sterminio che hanno visitato domenica, per poi dedicare il lunedì ad Auschwitz e Birkenau. Una studentessa lo rigira nel palmo. «A che pensi?» chiede la profe. «Ai poverini che dicono che è tutto una bugia».
Nella carrozza Agorà l’ultima notte è stata lunga. Le classi hanno continuato a esporre i lavori: raccontate dopo averle viste, certe cose toccano di più. «Poche ore fa camminavamo nel lager, abbiamo visto le forche a cui le Ss impiccavano i fuggitivi. Siamo scesi negli spogliatoi dove si denudavano donne e bambini, a pochi minuti dalla camera a gas. E quei forni... La guida ci ha raccontato che spesso i cadaveri venivano bruciati all’aperto. Hanno smesso perché i paesi vicini si lamentavano del fumo». Ora è tempo di accogliere il dolore, da domani si ricomincia il doveroso percorso della testimonianza.
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