Referendum, sulla legge Severino il confronto va avanti da oltre 10 anni
Il primo quesito referendario chiede di abrogare il decreto legislativo numero 235 del 31 dicembre 2012 che prevede una serie di misure per limitare la presenza di persone che hanno commesso determinati reati nelle cariche pubbliche elettive.
Il decreto legislativo che il referendum vuole abrogare è meglio conosciuto come «decreto Severino», dal nome della ministra della Giustizia del governo Monti. Stabilisce il divieto di ricoprire incarichi di governo, l’incandidabilità o l’ineleggibilità alle elezioni politiche o amministrative, e la conseguente decadenza da tali cariche, per coloro che vengono condannati in via definitiva per determinati reati, anche se commessi prima dell’entrata in vigore del decreto stesso.
Dalla sua approvazione ad oggi la Severino è stata al centro del dibattito politico, soprattutto perché applicata con una figura di spicco come Silvio Berlusconi la cui decadenza da senatore nel 2013 venne decisa dal Parlamento alla luce della legge varata dal Governo Monti e per una sua condanna per frode fiscale. Il Cavaliere è tornato candidabile alle Europee del 2019 come stabilito dal Tribunale di Milano.
Dettaglio
Per quanto riguarda, ad esempio, le cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento Europeo la condanna che fa scattare l’applicazione della legge è a più di due anni di carcere per reati di allarme sociale (come mafia o terrorismo), per reati contro la pubblica amministrazione (come peculato, corruzione o concussione) e per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a 4 anni.
Se un politico viene condannato in via definitiva per uno di questi reati mentre ricopre una carica, determina la decadenza dal mandato, ma non prima che si sia espressa la Camera di appartenenza di quel politico. Questo vale per tutti i candidati, dalle comunali al Parlamento. Il decreto Severino stabilisce poi dei criteri anche per quanto riguarda l’incandidabilità alle cariche elettive regionali o negli enti locali. Prevede, infine, in caso di condanna non definitiva, la sospensione dalla carica in via automatica per un periodo massimo di 18 mesi, cosa che è stata di recente giudicata legittima dalla Corte costituzionale.
Gli effetti
Se vincerà il «sì» anche ai condannati in via definitiva verrà concesso di candidarsi o di continuare il proprio mandato e verrà cancellato l’automatismo della sospensione in caso di condanna non definitiva. Come succedeva fino al 2012, e cioè prima dell’entrata in vigore del decreto Severino, torneranno a essere i giudici a decidere, caso per caso, se in caso di condanna sia necessario applicare o meno come pena accessoria anche l’interdizione dai pubblici uffici.
I promotori del referendum sostengono che i meccanismi del decreto Severino e in particolare l’automaticità della sospensione in caso di condanna non definitiva siano non solo inefficaci, ma anche dannosi per le persone coinvolte: dicono, nello specifico, che la decadenza automatica di sindaci e amministratori locali condannati ha creato finora «vuoti di potere» e ha portato alla sospensione temporanea dai pubblici uffici di innocenti poi reintegrati al loro posto.
Chi si oppone all’abrogazione sostiene che le motivazioni con cui questo quesito referendario viene presentato si concentrano molto sulla necessità di evitare la sospensione automatica di sindaci e amministratori locali condannati con sentenza non definitiva. Ma il quesito non riguarda l’abolizione di questi singoli aspetti, ma l’abrogazione integrale del decreto Severino, che rappresenta uno dei più ampi interventi normativi di contrasto alla corruzione degli ultimi anni.
Secondo i contrari, in generale, la legge Severino andrebbe modificata, soprattutto nella parte in cui prevede la sospensione in caso di sentenza non definitiva, ma non abrogata del tutto. Da mantenere, infatti, sarebbe la parte in cui si prevedono l’incandidabilità e l’ineleggibilità per i reati di mafia, terrorismo e reati contro la pubblica amministrazione.
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