Perché tanta gente non vuole più fare il test sierologico
Partiamo da un dato: su quasi 10 mila persone contattate da Ats Brescia per fare gratuitamente il test sierologico, magari in quanto segnalate dai loro medici di base perché avevano presentato dei sintomi o perché contatti stretti di malati, più della metà rifiuta. Una tendenza che è in linea con quanto riferisce Croce Rossa Italiana, impegnata nell'indagine nazionale di sieroprevalenza a fianco di Istat e ministero della Salute, i cui operatori hanno iniziato nei giorni scorsi le telefonate per invitare i cittadini scelti per prendere parte all'indagine a sottoporsi allo screening.
Anche in questo caso, tanti hanno preferito dire di no: accetta meno del 10% dei contattati. Non si conoscono con esattezza le percentuali bresciane dei dinieghi, ma verosimilmente la nostra provincia - che conta 48 Comuni selezionati per lo studio, in totale tremila candidati coinvolti - registra un andamento di adesioni simile a quello di altri territori. Una partenza che si può definire in salita, anche se la situazione potrebbe ribaltarsi, visto che le chiamate nel Bresciano andranno avanti almeno fino a metà mese.
Come si è passati dall'entusiasmo inziale per i test sierologici a questa resistenza diffusa? In fondo, si tratta di scoprire attraverso il prelievo di sangue venoso se si è stati a contatto o meno con il Sars-CoV-2: il famigerato testing, più volte accalamato a gran voce e definito strategico, soprattutto ora che siamo già nella Fase 3 e si avvicina il giorno del lancio nazionale dell'app di tracciamento Immuni.Le spiegazioni sono più di una, proviamo a riassumerle.
Restare intrappolati in isolamento fiduciario
Innazitutto, è probabile che - ora che le aziende hanno riaperto e l'economia cerca faticosamente di ringranare la marcia - la gente non se la senta di stare a casa dal lavoro. Infatti, in caso il test sierologico risultasse positivo, cioè verificasse la presenza di anticorpi nel sangue, il paziente deve mettersi in isolamento fiduciario in attesa del tampone: l'unico modo per verificare se è ancora positivo al Covid-19 o meno.
Il problema, in questo caso, sono le tempistiche. Sebbene la situazione sia migliorata nelle ultime settimane, sono noti i disguidi legati ai test diagnostici nel corso dell'emergenza sanitaria, soprattutto in Lombardia. Esiste il rischio che dal risultato del test all'appuntamento per il tampone trascorrano molti giorni, in qualche caso più di una settimana: sono numerose le testimonianze di lettori che ci segnalano di essere stati intrappolati in casa, senza poter lavorare, in attesa di potersi sottoporre al prelievo nasofaringeo per la ricerca dell'Rna virale. Le aziende, infatti, considerano malattia la quarantena solo in caso di tampone positivo, perciò il dipendente in caso scoprisse di essere sano è costretto ad attingere dalle ferie o dai permessi. Per non parlare degli autonomi, che si ritrovano obbligati a interrompere la loro attività e dunque paralizzare il proprio guadagno, già messo a dura prova durante la chiusura totale.
Rinunciare alla libertà appena riconquistata
L'idea di mettersi in isolamento fiduciario, inoltre, fa storcere il naso a tanti, ancora provati dai sacrifici del lockdown e dai mesi appena passati. Appena riannusata la libertà, pensare di dovervi rinunciare ancora potrebbe apparire un'idea insopportabile. Nonostante la pandemia di coronavirus non si possa certo ritenere conclusa, sono parecchie le persone che si dicono motivate a ricominciare la vita di prima. Anche se, ormai l'abbiamo capito, per qualche mese ancora non potremo illuderci di tornare al punto in cui eravamo rimasti prima del paziente 1 di Codogno.
Spendere troppo
Partecipare all'indagine sierologica di Croce Rossa è gratuito, così come non costa nulla fare il test se la convocazione arriva da Ats. Due possibilità per cui non ci si può candidare, ma si può solo sperare di essere selezionati.
In caso però un privato scegliesse di sua iniziativa di sottoporsi al test sierologico in uno dei centri prelievi accreditati dalla regione, deve sapere che almeno la prima parte dello screening sarà a suo carico. In caso di test positivo, il tampone che poi è necessario fare sarà rimborsato solo in caso sia anch'esso positivo, altrimenti il paziente dovrà pagarlo di tasca sua. Questo è un deterrente non da poco, soprattutto considerando che un test affidabile (con metodo Clia o Elisa) costa dai 35 ai 63 euro, mentre il prezzo del tampone si aggira attorno ai 70 euro. Dunque il cittadino si troverebbe, in caso per sua fortuna non fosse malato, a dover spendere dai 100 ai 140 euro. In caso invece risultasse infetto, non sono ancora stati pubblicati i moduli per il rimborso annunciati dalla Regione settimane fa.
L'appello alla partecipazione
Il ministero ha provato più volte a lanciare appelli ai cittadini, parlando dell'indagine di sieroprevalenza nazionale come di un dovere civico e un atto di altruismo. Nel nuovo video promozionale pubblicato sul sito del ministero, insieme alle faq aggiornate, un cittadino che ha aderito dice: «Consiglio di essere disponibili per un servizio che serve alla collettività, oggi e domani». Per ottenere risultati affidabili, si ricorda, «è fondamentale che le persone selezionate per il campione aderiscano. Partecipare non è obbligatorio, ma conoscere la situazione epidemiologica nel nostro Paese serve a ognuno di noi».
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