Panico in piazza a Torino, «l’organizzazione è stata un disastro»
Psicosi terrorismo o meno, il popolo di piazza San Carlo, o almeno una parte delle migliaia di persone che ieri sera si sono radunate nel «salotto» di Torino per la finale di Champions League, qualcuno da accusare lo hanno trovato: l'organizzazione. Sono tanti gli aspetti che vengono criticati dopo l'ondata di panico che ha provocato 1.400 feriti. A cominciare dagli alcolici. Girava troppa birra già dal pomeriggio e, soprattutto, giravano troppe bottiglie di vetro.
«Senza tutti quei cocci - dice Marco, 36 anni, da Brescia - la maggior parte della gente non si sarebbe fatta male».
«Mi sono procurato dei profondi tagli ai piedi solo perché mentre correvo nella calca ho perso le scarpe» conferma Daniele, 29 anni, da Verona.
«Chi si presentava con delle bottiglie - spiega un ragazzo da Udine - doveva buttarle via. E nel frattempo entravano i venditori abusivi con i loro carretti. Ce n'erano a decine. Servivano persino la birra alla spina».
Nelle testimonianze si moltiplicano i racconti di chi si è visto travolgere dalla folla impazzita. Ma i problemi sono nati prima, dato che non mancano le lamentele per come erano gestiti gli spazi della piazza. «Lo schermo - spiega Marco C. - era troppo basso, ed è per questo che la gente si è accalcata lì sotto. Bastava alzarlo di tre metri e non ci sarebbero stati problemi». «Meglio ancora - lo interrompe un amico - se ne poteva piazzare un secondo, come avevano fatto due anni fa. Io c'ero».
A causa della «troppa gente» e di «una situazione che non era delle migliori» il giovane trevigiano Nicola ha deciso, verso le 19, di andare a Borgo Dora, dove era stato allestito un altro maxi schermo e dove non ci sono stati problemi.
Critiche anche al sistema dei controlli. «Dal varco di via Maria Vittoria - spiega un lombardo - si poteva entrare solo uno alla volta. Però, verso il centro della piazza, l'accesso era assai più ampio e non tutti venivano monitorati».
Il rischio terrorismo è stato scongiurato. Ma non quello del panico, dell'ebbrezza, dell'effetto moltiplicatore. «C'è stato un boato, sì, ma era il boato della gente che gridava, dei piedi che battevano, dei vetri che si spezzavano - dice Marco - Niente spari, niente scoppi. Ho capito subito che non era un attentato. Ma non potevo fare altro che correre».
I suoi compagni assicurano che «le folate sono state tre». La prima dalla zona di un'edicola, la seconda dalla parte opposta: «Siamo scappati in quella direzione e all'improvviso ci è venuta addosso una marea di gente».
L'ultima, dopo alcuni minuti, è arrivata da un terzo angolo della piazza. Qualcuno, oltre al danno, ha patito anche la beffa. La torinese Emily, 33 anni, si è rotta due costole, ha riportato tagli a mani e gambe e ha perduto lo zaino: «Lo ha ritrovato mio papà - dice - ma era vuoto. Perché gli sciacalli esistono davvero».
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