Italia e Estero

Panama Papers: miliardi off shore, tremano migliaia di vip

I Panama Papers, 11 milioni di documenti su capitali "celati" in isole offshore, fanno tremare migliaia di vip in tutto il mondo
Una veduta di Panama City
Una veduta di Panama City
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Uno scandalo di proporzioni planetarie fa tremare i leader e i vip di mezzo mondo. I Panama Papers, milioni di documenti che hanno origine in uno studio legale internazionale specializzato in paradisi fiscali, gettano l'ombra del sospetto su fortune riconducibili - pare - all'entourage di Vladimir Putin e del suo arcinemico ucraino Petro Poroshhenko; a familiari del leader cinese Xi Jinping e al re saudita, al defunto padre di David Cameron, ma anche a Luca Cordero di Montezemolo, a banche italiane, a primi ministri e loro parenti, a criminali, personaggi dello spettacolo e dello sport come Leo Messi, a funzionari d'intelligence, a celebrità varie.

Tutti uniti, stando a queste esplosive rivelazioni, da una gigantesca rete di banche e consulenti in grado di dirottare di nascosto da ogni controllo di legalità, verso discreti isolotti
off-shore, masse di denaro: miliardi e miliardi di dollari. Le rivelazioni sono saltate fuori da uno sterminato archivio di documenti denominati "Panama Papers" fatti filtrare da uno studio legale, Mossack Fonseca, con sede nel Paese centroamericano del canale: non molto noto ma con uffici sparsi nei 5 continenti da Miami, a Hong Kong, a Zurigo, a 42 altre località.

Documenti passati al giornale tedesco Suddeutsche Zeitung e da questo condivisi poi con un pool di oltre 300 reporter investigativi di vari media internazionali fra cui i britannici Guardian e Bbc (e per l'Italia l'Espresso). Il Guardian si concentra in apertura della sua edizione online solo su Putin, da tempo nel mirino di Washington e di Londra sullo sfondo dello scontro geopolitico in atto fra Mosca e l'occidente. Il leader russo viene ritenuto coinvolto indirettamente attraverso la figura di Serghei Roldugin: un musicista indicato fra i suoi migliori amici e padrino di battesimo di una delle sue figlie, che appare il terminale - almeno nominale - di un trasferimento sotto banco di ben due miliardi di dollari partiti da Bank Rossia (istituto di credito guidato da Yuri Kovalciuk, che gli Usa sostengono essere una sorta di banchiere del Cremlino) per essere indirizzati poi a Cipro e nel paradiso delle Isole Vergini Britanniche. Sospetti che peraltro un portavoce del Cremlino ha subito respinto come una montatura politica, assicurando che Mosca ha i mezzi per difendere in sede legale la reputazione di Putin. 

Ma non è solo la Russia al centro di uno scandalo che si basa sulla bellezza di 11 milioni di documenti analizzati da giornalisti di 76 Paesi: di fatto la più grande fuga di notizie o indiscrezioni nella storia della finanza e della politica, persino più vasta di quelle di Wikileaks nel 2010 e delle intercettazioni della Nsa americana svelate da Edward Snowden nel 2013. Carte nelle quali compaiono i nomi di almeno 140 tra politici, personaggi famosi, imprenditori e sportivi e di 12 leader politici tra re, presidenti e primi ministri.

I 307 reporter dell'International Consortium of Investigative Journalists, impegnati per mesi a spulciare le carte, allargano la cerchia dei sospetti a personaggi dei Paesi di appartenenza: e così l'Espresso evoca Montezemolo, l'imprenditore Giuseppe Donaldo Nicosia, latitante e coinvolto in un'inchiesta per truffa con Marcello Dell'Utri, l'ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli oltre a Ubi e Unicredit; mentre Haaretz cita ad esempio alcuni dei più ricchi e influenti uomini d'affari di Israele.

Ubi, al riguardo, con una nota chiarisce: «Ubi Banca non ha società controllate in Paesi quali quelli citati e nemmeno i nominativi indicati sono direttamente riconducibili a Ubi. È però possibile che siano state gestite delle operazioni dalla Banca per conto di propri clienti, nel rispetto della legislazione del Granducato» del Lussemburgo. 

Non mancano intere società che secondo i Panama Papers farebbero riferimento diretto ai capi di governo di Islanda e Pakistan. Mentre emergono presunte somme da capogiro sottratte e beni di lusso (fra cui yacht da favola) al fisco da Salman re dell'Arabia Saudita, dal re del Marocco Mohammad VI, dai figli del presidente dell'Azerbaigian, dal presidente filo-occidentale ucraino Poroshenko. E pure da da familiari di Xi Jinping: il leader di Pechino che a parole ha fatto della lotta alla corruzione il suo slogan. Altro denaro risulta riconducibile a 33 sigle o individui inseriti nella lista nera degli Usa per asserite connessioni con i signori della droga messicani, con organizzazioni definite terroristiche come gli Hezbollah sciiti libanesi, con Stati quali Corea del Nord o Iran. 

E non finisce qui. Perchè a essere toccati dal sospetto sono il mondo dello sport miliardario e quello dello spettacolo. Ecco allora saltar fuori il nome del campionissimo Lionel Messi, bandiera del calcio argentino e del Barcellona che già ha anticipato azioni legali per tutelarsi contro accuse che rinvia al mittente, oppure quello dell'attore cinese Jackie Chan. E ancora dirigenti sportivi sudamericani già comparsi nello scandalo Blatter, come l'ex vicepresidente del calcio mondiale Eugenio Figueredo e suo figlio Hugo, nonchè l'uruguaiano Juan Pedro Damiani, del comitato etico della Fifa. 

Un elenco di ricchi, potenti e famosi che - dai misteri di Panama, a cavallo fra due oceani - chissà quale tsunami sarà ancora in grado di sollevare.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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