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Ossa rinvenute e caso Orlandi, cosa possono raccontare i resti

Ecco quali risposte potrebbero venire dall'analisi dei resti rinvenuti a Roma che si sospetta appartengano a Emanuela Orlandi
Murale che riproduce Emanuela Orlandi e Mirella Gregori entrambe scomparse nel 1983 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Murale che riproduce Emanuela Orlandi e Mirella Gregori entrambe scomparse nel 1983 - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Dagli esami sulle ossa a quello del Dna sono molte le informazioni che si potrebbero ricavare dall'analisi dei resti trovati nella Nunziatura apostolica a Roma, sui quali pende il sospetto possano essere di Emanuela Orlandi, a patto che il loro stato di conservazione sia accettabile. Lo afferma Giovanni Arcudi, il direttore della Medicina legale dell'Università Tor Vergata.

ETÀ DEI RESTI - «Dall'analisi chimica delle ossa si può capire da quanto tempo è morta la persona, valutandone il degrado - spiega Arcudi -. A seconda del luogo di conservazione, asciutto o umido, la degradazione delle ossa cambia, ci sono delle tabelle specifiche a seconda del terreno dove sono conservati i resti. Il risultato in un periodo approssimativo, con una forbice di 10-20 anni. Non si può usare invece la datazione al Carbonio, che serve per resti più antichi, di almeno 100-200 anni».

GLI ESAMI SULLE OSSA - Da queste spiega l'esperto, si possono ottenere molte informazioni sia sulla persona ma anche sulla datazione della morte. Sulle ossa si fa la diagnosi dell'età, analizzando l'usura dei denti o la conformazione del cranio, se sono disponibili e ben conservati, o dalle cartilagini degli arti. Per determinare il sesso usiamo alcune misure del bacino o del cranio, mentre per l'altezza del soggetto in vita servono le cosiddette ossa lunghe, come il  femore. La quantità di informazioni ottenibili dipende da quali reperti abbiamo e da come sono conservati, ovviamente con un intero scheletro si può sapere molto di più. Anche eventuali lesioni delle ossa o dei denti possono essere molto d'aiuto, confrontate magari con la storia clinica della persona a cui si  sospetta appartengano i resti». Lo stato di conservazione delle ossa permette anche di risalire al periodo in cui è morta la persona. 

IL DNA - «L'estrazione del Dna e le analisi conseguenti, come il confronto con quello della persona a cui si sospetta appartengano i resti o i familiari, non  richiedono molto tempo, si possono fare in 7-10 giorni - spiega l'esperto -. Non sempre però si riesce a ricavare del materiale genetico utilizzabile, dipende sempre da come sono conservati i resti, e anche da che tipo di ossa abbiamo. I denti e le vertebre ad esempio sono migliori per l'estrazione, anche se in teoria anche le altre ossa potrebbero essere utilizzate. Una volta ottenuto un Dna analizzabile si può sapere il sesso con sicurezza, e se si ha un «sospetto» su chi possa essere la persona si può fare il confronto diretto, mentre se non si ha un'idea si può provare con le banche dati del Dna, che però al momento sono abbastanza limitate in Italia».

I DENTI - L'esame dei resti ritrovati potrebbe essere confrontato con referti dentistici: radiografie o calchi come quelli per gli apparecchi odontoiatrici, se conservati, potrebbero essere utili. Ma i denti sono anche una ottima fonte per il recupero del Dna. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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