Mario Draghi al lavoro per trovare maggioranza e ministri
Il programma c'è, dettato dalle emergenze del Paese. La sfida è il rilancio dell'economia e l'uscita dalla pandemia. E Mario Draghi è persuaso che troverà in Parlamento l'unità necessaria ad affrontarle. Dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha avuto carta bianca e tutto il tempo necessario a formare il suo governo. Ma se c'è chi ipotizza il giuramento già nel fine settimana, c'è anche chi non esclude servano due giri di consultazioni per comporre il difficile intreccio tra maggioranza parlamentare e formazione della squadra di ministri.
L'ex presidente della Bce avrebbe in mente un Cdm composto da tecnici di alto profilo, ma il pressing dei partiti della ex maggioranza è fortissimo perché l'esecutivo sia tecnico-politico, sul modello Ciampi: solo così, fanno sapere i pentastellati più dialoganti che ipotizzano anche un ingresso diretto dei leader politici, il M5s potrebbe dire di sì. Draghi resta un'ora a colloquio con Mattarella, vede a tu per tu i presidenti delle Camere, incontra l'uscente Giuseppe Conte. Non è accompagnato da un suo staff, che non avrebbe ancora composto. A verbale lascia la dichiarazione pronunciata al Quirinale, che è già un programma politico. Ma nulla di più, non un commento a margine, non un tweet (sui social, del resto, non è presente).
Dalle consultazioni con i partiti, che iniziano oggi e potrebbero essere affiancate da colloqui con i rappresentanti delle parti sociali, emergerà la sua maggioranza. Di sicuro, sottolineano dal Quirinale, sarà il governo di Draghi, non quello di Mattarella: il presidente della Repubblica, che con la sua decisione di affidare subito l'incarico avrebbe spiazzato tutti, non gli ha dettato paletti, non gli ha indicato un perimetro. Sarà l'ex governatore e presidente della Bce a valutare quale sarà la formula in grado di garantirgli la maggioranza più ampia e unitaria. Per governare, sottolineano fonti parlamentari, senza una scadenza, anche se c'è già chi ipotizza che un termine possa essere segnato, nel 2022, da una sua eventuale elezione alla presidenza della Repubblica.
Una squadra di tecnici di alto profilo sarebbe la scelta in grado di garantire a Draghi la più ampia autonomia e anche, in ipotesi, il sostegno più ampio, se anche la Lega rompesse gli indugi e virasse verso l'astensione. Ma il nodo è il M5s, che conta quasi 300 parlamentari. Secondo i rumor, non confermati, di traverso si sarebbe messo anche Conte, anche se fonti Dem il premier uscente starebbe semplicemente alla finestra e potrebbe intervenire in una seconda fase per spingere sulla linea del sì. La condizione che però alcuni «big» pentastellati considerano indispensabile per far virare il truppone M5s sul voto di fiducia, è un governo politico, con Draghi premier e dentro ministri politici. È lo schema a cui lavora anche il Pd (si ipotizzano anche conferme per nomi come Franceschini, Guerini, Boccia) e la parte dialogante di Leu.
Una delle ipotesi è che entrino i leader, dall'uscente Conte agli esteri (anche se fonti di palazzo Chigi smentiscono che l'ex presidente del Consiglio e Draghi abbiano parlato di incarichi) a Di Maio, da Zingaretti o Orlando a Speranza e Renzi (ma lui smentisce e oltretutto ci sarebbe il veto del M5s). La controindicazione è che la maggioranza in Parlamento sarebbe quella potenziale dell'ultimo governo Conte (con defezione di una piccola parte del M5s). A quel punto è infatti difficile - ma c'è chi non lo esclude - che possa entrare anche Forza Italia (con nomi come Antonio Tajani), perché vorrebbe dire rompere con la coalizione. La «maggioranza Ursula» dal Leu a FI sarebbe più facile per gli azzurri se i politici restassero fuori dal governo, almeno fuori dalle caselle di ministri. Un governo tecnico, secondo fonti di centrodestra, potrebbe spingere a una forma di sostegno (magari con astensione) anche della Lega, dov'è forte la pressione dei «draghiani» come Giancarlo Giorgetti. Draghi sarà in ogni caso, sottolineano più fonti, un premier «pesante», ma una squadra di non politici gli darebbe più libertà di manovra e autonomia rispetto ai partiti.
Di sicuro, secondo fonti parlamentari, dovrebbero essere affidati a tecnici ministeri cruciali come l'Economia, dove dovrebbe arrivare un nome di fiducia del presidente del Consiglio (si cita Daniele Franco, mentre a Roberto Gualtieri potrebbe essere chiesto di correre da sindaco di Roma), la Giustizia (si citano Marta Cartabia e Paola Severino), l'Interno (potrebbe essere confermata Luciana Lamorgese). Solo ipotesi, per ora. Prima deve formarsi una maggioranza. Il Pd lavora perché ci siano i Cinque stelle, anche in chiave futura alleanza. Sul sostegno a Draghi i Dem si compattano: lavorano tutti per evitare di ritrovarsi nella stessa maggioranza con la Lega. Sottotraccia tra i parlamentari emerge però molto malumore, dall'area di Franceschini a Base riformista, per come la crisi del governo Conte 2 è stata gestita e per la scelta della linea «Conte o voto», che ancora nelle ultime ore Goffredo Bettini evocava. Non è questo il momento - dicono fonti di minoranza - di mostrare divisioni o criticare la linea della segreteria, ma se la missione di Draghi fallisse o anche se i Dem restassero fuori dal governo, si riaprirebbe quella partita interna che potrebbe tornare a galla nei prossimi mesi: potrebbe aprirla già chi lo scorso anno evocava il congresso e il nome di Stefano Bonaccini.
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